Se esiste una squadra in NBA coi riflettori puntati addosso più delle altre, questa è sicuramente identificabile coi Cleveland Cavaliers. I campioni in carica, più volte in difficoltà ed in risalita in questa stagione, si sono ritrovati a perdere il primo posto della Conference a favore dei Boston Celtics, che con 81 partite giocate su 82 hanno un record favorevole (52-29) rispetto al 51-30 della franchigia dell'Ohio. I Cavs hanno gli scontri diretti a favore, ma una vittoria nella notte tra mercoledì e giovedì contro i Bucks garantirebbe la vetta della classifica (ed il fattore campo in un'evenutuale finale di Eastern Conference) ai ragazzi di Brad Stevens.

Cleveland, difatto, ha fatto crollare la sua leadership con le ultime tre uscite: dopo aver conquistato lo scontro diretto del TD Garden, LeBron e compagni hanno chinato la testa due volte consecutive contro Atlanta. La seconda sconfitta in particolare ha fatto davvero male.
I Cavs, infatti, sono stati protagonisti dell'impresa negativa di dilapidare un vantaggio di 26 punti nel solo quarto quarto, andando poi a perdere 126-125 nel caldissimo overtime della Philips Arena. Se Tyronn Lue ha subito fatto mea culpa, evidenziando comunque la positività dei primi 36 minuti di gioco dei suoi e la capacità degli Hawks di riacciuffare la partita nel tragico quarto quarto ("ci è andato tutto male, ogni singola cosa. Ma giù il cappello per loro, hanno fatto un buon lavoro per rientrare nel quarto quarto"), meno a basso profilo sono stati i commenti dei giocatori. Kevin Love ha riconosciuto il suo errore in un momento cruciale (l'1/2 in lunetta nell'overtime che ha permesso a Muscala di firmare il sorpasso decisivo); mentre LeBron James, leader dentro e fuori dal campo, ha avuto parecchio da ridire sulle decisioni arbitrali, forse per togliere implicitamente pressione dalle spalle dei suoi compagni: "Il mio sesto fallo [fischiato nella lotta a rimbalzo con Millsap a 1:52 dalla fine dell'overtime, ndr] non era tale. Sapevo di essere a cinque falli, la palla era lunga, magari l'ho sfiorato un po', ma non ho spinto né nulla di simile. Sono cose che succedono durante la partita". Altre lamentele si sono susseguite riguardo ad una palla contesa concessa durante l'overtime, nel contrasto tra Millsap e Kyrie Irving. Secondo James, l'arbitro Leroy Richardson non ha acconsentito alla sua chiamata di timeout quando il suo compagno era ancora in possesso della sfera, ed inoltre la terna non ha ravvisato il piede sulla linea di fondo dello stesso Millsap, che avrebbe dovuto comportare la rimessa per gli ospiti e non una palla contesa.

 

Un gran polverone insomma, che per forza di cose ha lasciato scorie anche nella serata successiva: sconfitta per 124-121 in una trasferta, quella di Miami, che non ha visto scendere in campo né il Re né il suo scudiero Irving. L'unico rappresentante dei big three, Kevin Love, ha chiuso con 25 punti e 10 assist in 36 minuti, mentre il migliore tra i campioni in carica è stato Deron Williams, autore di una prova da 35 punti, 9 assist e 7 rimbalzi nella bellezza di 46 minuti sul campo, dal quale ha tirato con un 14/25. Una sconfitta maturata all'overtime, anche qui dopo una rimonta che  ha visto gli Heat risalire dal -14 di fine terzo quarto, grazie, tra le altre, alle prestazioni di Hassan Whiteside (doppia doppia da 23 e 18 rimbalzi) e di Tyler Johnson, autore di 24 sigilli in uscita dalla panchina. Una sconfitta che - probabilmente - non regalerà i playoff alla franchigia della Florida, ma in compenso manda segnali incoraggianti per un futuro.

Alla luce dei risultati, Cleveland ha l'obbligo di vincere nell'ultima gara di regular season, quella casalinga contro i Toronto Raptors: una W darebbe un buon colpo morale ad una delle avversarie dirette ad Est, regalerebbe alle statistiche un record favorevole nelle gare casalinghe (attualmente inchiodato sul 20-20), e permetterebbe ai giocatori di spostare la testa sui Playoffs, quando i motori diventeranno davvero bollenti, con un minimo di tranquillità in più.
Tranquillità che, nella patria di LeBron, sembra non riguardare nemmeno il roster: è di qualche giorno fa infatti la decisione del general manager David Griffin di tagliare la guardia classe 1988 DeAndre Liggins. Liggins, 12.3 minuti e 2.4 punti di media stagionali, ha dovuto fare le valigie, verosimilmente per due ragioni: la prima è trovare una squadra che sia disposta a puntare su di lui il prima possibile per liberare Cleveland dal peso (poco più di mezzo milione di dollari annui) del suo contratto, ma soprattutto liberare uno spazio per mettere a segno un "colpo" in ottica Playoffs. Poco traspare delle intenzioni della franchigia detentrice del titolo: la scelta potrebbe ricadere su una guardia, per offrire ulteriori sicurezze dietro le spalle (e, purtroppo, alle ginocchia) di Kyrie Irving e del suo nuovissimo sostituto Deron Williams, un lungo per ovviare ai problemi di entità ancora imprecisata che stanno tenendo fuori Tristan Thompson negli ulitmi tempi, o ancora un'ala per ampliare il parco di giocatori capaci di spaccare la partita in uscita dalla panchina. Tanti i nomi che girano: da Varejao (storico ex) a Dahntay Jones, già firmato l'anno scorso nell'ultimo giorno di regular season ed utilizzato come uomo-playoffs, oppure Mario Chalmers, già compagno di LeBron James a Miami. In ogni caso, i requisiti sembrano chiari: chiunque dovesse arrivare, dovrà essere pronto già dal suo primo giorno di "lavoro". Serve un impatto positivo, seppur minimo, ed immediato. Per questo, sembrerebbero avere preferenza giocatori che hanno nelle gambe ancora minuti giocati recentemente.