In attesa di giocare domani notte contro i Golden State Warriors di Steve Kerr (ma non ancora di Kevin Durant), i San Antonio Spurs di Gregg Popovich hanno inflitto poche ore fa una dura lezione ai Cleveland Cavaliers di Tyronn Lue. Primo esame superato a pieni voti dunque, in una degli ultimi test probanti di un'altra regular season da ricordare.
103-74 lo score finale in favore dei texani contro i campioni in carica. Un risultato che fa il paio con la vittoria ottenuta a gennaio a Cleveland in overtime, e che si aggiunge ai due netti successi già portati a casa contro Golden State. Come riportato da Elias Bureau, gli Spurs sono diventati infatti la quinta squadra negli ultimi cinquant'anni a battere entrambe le finaliste NBA almeno una volta con oltre venticinque punti di scarto. Il dominio della Oracle Arena nell'opening night è stato infatti ripetuto contro una Cleveland lasciata a soli 74 punti segnati, punto più basso dal 2009, quando quella versione dei Cavs (con LeBron e poco altro) perse nettamente a Houston. Ed è stata proprio la difesa la chiave di volta della sfida dell'AT&T Center. Da una parte l'intensità neroargento, dall'altra la fragilità dei campioni in carica. I numeri offensivi di Kawhi Leonard sono stati scintillanti, ma è nella propria metà campo che San Antonio ha scavato un solco incolmabile a cavallo tra primo e secondo quarto. LeBron James è finito nelle fauci dello stesso Leonard e di Danny Green, Kyrie Irving è stato guardato a vista prima dallo stesso Green e poi dall'attivissimo Patty Mills, e le penetrazioni del Prescelto hanno dunque liberato solo in poche occasioni gli uomini sul perimetro, tra i quali il solo Kevin Love ha iniziato a tirare con il mirino centrato (male invece J.R. Smith e Deron Williams). La forza difensiva di questi Spurs non sta dunque solo nell'organizzazione (anche Aldridge ha dato segnali di vita in questo senso), ma soprattutto nella capacità di reggere alla grande l'uno contro uno.
Persino in una lega come l'NBA, non esistono squadre in grado di proporre in quintetto due difensori perimetrali del calibro di Leonard e Green. Del primo si sa ormai tutto: candidato MVP, nella sua metà campo è una piovra, ogni palla vagante o solo esposta diventa sua preda di caccia. In single coverage Kawhi non va sotto con nessuno, neanche con James, stoppato con perdite in due occasioni nel massacro dell'AT&T Center. Leonard è attivissimo anche sulle linee di passaggio: grazie alla braccia lunghe intercetta (oltre a strappare di forza) palle a ripetizioni, per poi chiudere di forza in contropiede. Green è invece un fantastico difensore in aiuto dal lato debole. Buon interprete della marcatura individuale, l'ex Cavs è un clamoroso stoppatore in aiuto, il migliore tra gli esterni NBA insieme a Dwyane Wade. Se a ciò si aggiunge che dalla panchina Spurs escono Patty Mills e Manu Ginobili, che di palloni rubati se ne intendono, si comprende come la difesa neroargento sia tra le migliori della lega, insieme a quella dei Golden State Warriors quando Kevin Durant è al meglio della condizione. Mills e Ginobili, due che fanno la differenza in attacco, ma che si arrangiano alla grande, con intensità ed esperienza, anche nella propria metà campo, dove questa notte Popovich ha dato spazio anche a Kyle Anderson, per una volta preferito a Jonathon Simmons. Dewayne Dedmon ha invece dato una dimensione verticale ai lunghi di San Antonio, reparto che difensivamente offre maggiori punti interrogativi. Ma se gli esterni tengono l'uno contro uno come accaduto contro James e compagni, anche qualche incertezza nei tempi di aiuto dei vari Aldridge, Lee e Gasol può essere mascherata. I principali dubbi di questa versione dei neroargento sembrano dunque risiedere - paradossalmente - in attacco, dove in alcune occasioni si tende a cavalcare fin troppo Leonard. Ma anche i numeri offensivi sono in miglioramento: l'uscita dalla panchina di Pau Gasol sembra aver cambiato qualcosa nel catalano e nella chimica di squadra. Questi Spurs non saranno quelli intrattabili del 2014, ma rimangono la migliore orchestra di tutta l'NBA, forse non per talento, certamente per organizzazione.