L'ultimo capolavoro lo ha firmato la scorsa notte, quando ha messo a referto 39 punti, di cui diciassette nel quarto quarto, con tanto di stoppata decisiva su James Harden, per regalare ai suoi San Antonio Spurs la vittoria casalinga nel derby texano contro gli Houston Rockets di Mike d'Antoni. E se anche uno che ne ha viste tante come Manu Ginobili, nel finale di partita si è messo le mani in testa per esprimere tutta la sua ammirazione, allora vuol dire che Kawhi Leonard è diventato davvero un giocatore con pochi limiti, il prescelto - per usare un termine caro a LeBron James - per raccogliere il testimone da Tim Duncan alla guida dei neroargento.
MVP o meno, Leonard è attualmente una delle superstar più dominanti dell'intera Nba, per impatto offensivo e difensivo, ma soprattutto per leadership, riconosciuta dai suoi compagni di squadra, in un processo di crescita tanto rapido quanto apparentemente naturale. Eppure, come ricordato spesso da analisti e addetti ai lavori, il destino di questo prodotto da San Diego State sarebbe dovuto essere diverso, quello di un portatore d'acqua in grado di lavorare bene nella sua metà campo e di aggiustare il mirino come tiratore da tre punti. Ora Leonard è molto altro, è la prima opzione offensiva di una squadra che punta al titolo, e che su di lui può costruire altri anni di rilevanza Nba. Nell'ultimo ventennio neroargento, sono state diverse le superstar che hanno affiancato Tim Duncan nei successi dell'era Popovich: da David Robinson a Manu Ginobili, passando per Tony Parker. Adesso Duncan si è ritirato, ed è Kawhi il punto di riferimento della squadra, nell'ennesima transizione vincente da un gruppo all'altro dei neroargento. "Sono stati tutti cambiamenti avvenuti senza strappi - ha detto al riguardo coach Gregg Popovich - per merito della personalità dei giocatori coinvolti in questo processo. Tutta gente che ha capito dove si trovava e cosa doveva fare, riconoscendo l'importanza dei nuovi innesti in ogni diversa fase delle rispettive carriere. Robinson, Duncan, Ginobili e Parker avrebbero potuto giocare da prime donne per molti altri anni, ma hanno capito che sarebbe stato più utile alla squadra far crescere il talento dei compagni più giovani e creare un ambiente dove questi ultimi potessero esprimersi al meglio e avere successo".
Evidente la crescita di Leonard, che anno dopo anno ha visto lievitare le sue statistiche nelle principali voci del gioco. Ma ciò che i numeri non raccontano è l'inesorabilità del dominio del numero due sulle partite dei San Antonio Spurs. Cavalcato in attacco in maniera quasi ossessiva, l'MVP delle NBA Finals 2014 può andare a segno dal post, in allontanamento oppure avvicinandosi al canestro, può mandare a bersaglio triple con o senza ritmo, penetrare di potenza e chiudere con entrambe le mani, avendo ormai ampliato la gamma delle opzioni offensive a sua disposizione. Eppure ci sono ancora diversi aspetti del gioco in cui può migliorare: come passatore ad esempio, anche se alcuni passi in avanti in questa direzione si iniziano già a notare, o nella capacità di leggere il raddoppio e ribaltare il lato in situazioni di difficoltà. Popovich conosce bene pregi e difetti del suo "nuovo" fenomeno, ma preferisce soffermarsi su un altro aspetto dell'essere superstar: "La principale dote di Kawhi è quella di saper gestire bene le sue responsabilità, soprattutto di capire che per una superstar ci saranno sempre dei momenti di difficoltà. Non è facile prendersi la squadra sulle spalle sera dopo sera: pensate a Kobe Bryant, LeBron James, Michael Jordan, tutti giocatori che hanno compreso che nella pallacanestro non sempre le cose vanno come vorresti. Ma hanno avuto la forza di rialzarsi, di volere a tutti i costi un'altra occasione. Kawhi appartiene a questa categoria, fa parte di un'èlite esclusiva".
Difficile dire fin dove potrà arrivare il numero due in maglia neroargento: il suo inserimento in un sistema e in un ambiente ben riconoscibili lo hanno di certo agevolato nei primi anni Nba, mentre ora dovrà fare un ulteriore passo di qualità: trascinare al titolo una squadra che ormai si basa quasi esclusivamente - ed è questo uno dei principali limiti di questa edizione degli Spurs - sulla sua leadership silenziosa.