E' arrivato per gli Utah Jazz l'anno della verità, la stagione in cui il progetto di ricostruzione è giunto al termine, e finalmente poter beneficiare dei risultati che tutti in quel di Salt lake City attendono, impazienti. La franchigia della LHM Group manca l'appuntamento con i playoff dall'ormai lontano 2002, quando furono estromessi dalla lotta al titolo al primo turno per opera dei San Antonio Spurs. Cinque anni, e tanto lavoro, per permettere a Utah di rifarsi il look, cucirsi addosso un elegante abito e riprendere la caccia alla post season. Il primo passo è stato la contrattualizzazione dell'head coach Quinn Snyder, contornata nel corso degli anni da ottime pescate ai Draft Nba (Gobert e Hood su tutti).
L'obiettivo è solo uno, il ritorno ai playoff, e dopo due stagioni in cui nella casella arrivi si è registrato il nulla o quasi, il General Manager dei Jazz, Dennis Lindsey, ha invertito la rotta ed in estate ha acquisito le prestazioni sportive di atleti di provata esperienza, per far crescere i giovani attualmente militanti nel roster della squadra di Salt Lake City: il play George Hill, dopo cinque stagioni agli Indiana Pacers, è volato nello Utah per dar manforte ad un altalentante Dante Exum in cabina di regia, mentre dal mercato dei Free Agents sono arrivati due veterani dall'età non più verdissima (Joe Johnson e Boris Diaw).
Scelte che stanno pagando i giusti dividendi. Con tre quarti di regular season ormai andata in archivio, i Jazz occupano la quarta piazza nella Western Conference, dietro solo ai Golden State Warriors, San Antonio Spurs e gli Houston Rockets. Sono 63 le sfide disputate dagli uomini di Snyder, ed il record è più che positivo: 39 vittorie e 24 sconfitte, un vantaggio di ben 12 gare dall'attuale nono posto, occupato dai Portland Trail Blazers. I playoff sono ormai una certezza, l'obiettivo è quello di difendere l'attuale posizione in graduatoria dagli attacchi delle squadre che sono all'inseguimento (Clippers, Grizzlies e Thunder).
La stella è senza dubbio Gordon Hayward, intorno al quale la dirigenza ha costruito il roster per ritornare a riscuotere successi. Il prodotto della Brownsburg High School, ai nastri di partenza dato come primo violino offensivo dei mormoni, non ha tradito le attese e si è confermato su livelli di prim'ordine: 22.1 punti, 5.5 rimbalzi e 3.5 assist di media a serata, numeri che gli sono valsi la prima convocazione all'All Star Game. Gli Utah jazz non brillano solo per ciò che concerne la fase offensiva, bensì è dall'altra parte del campo la vera risorsa della squadra. Con soli 96.2 punti subiti per ogni singolo match, quella di Salt Lake è la miglior difesa dell'intera Lega: solo gli Spurs ed i Mavericks hanno una media punti subiti inferiori ai 100 per partita, ma entrambe non riescono a far meglio di Utah (rispettivamente 98.2 e 99.7).
La parsimoniosa filosofia della dirigenza sta pagando, senza fretta e senza scelte azzardate, Utah sta incamminandosi verso l'elitè del basket americano, assumendo sempre più il ruolo di "contender", ruolo che renderebbe più appetibile la franchigia sul prossimo mercato dei Free Agents. L'obiettivo primario è quello di ben figurare ai prossimi playoff, mentre quello a medio lungo termine è riuscire a trattenere Gordon Hayward, in quanto il "White Mamba" è in scadenza di contratto il prossimo anno. Esercitando la player option da 16 milioni di dollari, significherebbe per Hayward giurare fedeltà ai Jazz, solidificando il legame tra le parti e cercare di alzare ulteriormente l'asticella degli obiettivi di squadra.
L’avidità di risultati immediati conduce spesso a non averne affatto di risultati, con un enorme dispendio di energie e con il rischio di non vedere mai portate a frutto le proprie reali capacità. Concetto ben chiaro dalle parti di Salt Lake City. Nello Utah il diktat è uno soltanto, chi semina prosperità raccoglie ricchezza.