Giù la maschera. A dieci giorni dalla fine della trade deadline, i 76ers non si nascondono più: Jahlil Okafor sarà scambiato. Eppure, dati i malumori ed i contrasti di fine 2016, il lungo destinato a lasciare il roster sembrava Nerlens Noel. L’ex-Kentucky, però, sembra aver trovato la sua dimensione ed soprattutto la tranquillità nel giocare in una città che ha sempre ricambiato il suo affetto e che gli riconosce di essere stato presente e paziente nelle ultime due stagioni, ai limiti dell’horror sportivo per quanto riguarda i risultati della franchigia della Pennsylvania.

Ed invece, nella serata di sabato, ad essere tenuto in panchina è stato proprio Okafor. I suoi compagni hanno avuto la meglio sui Miami Heat (117-109), fermando la serie di 13 vittorie consecutive della squadra di Spoelstra. Dopo la partita, Brett Brown ha confermato che nonostante l’assenza di Embiid (alle prese con un problema al ginocchio sempre più misterioso) il centro cresciuto a Duke University è stato tenuto fuori dalla rotazione a causa delle voci sulla sua trade.

È noto già da giorni, infatti, come Philadelphia sia nel bel mezzo di una discussione con i New Orleans Pelicans. I due front-office si sono incontrati a più riprese, definendo un possibile passaggio di Okafor in cambio di Ajinca ed una scelta non protetta al primo round del draft 2018. Alla finestra dei 76ers, però, sembrano essersi presentate anche Portland e Chicago, interessate in egual misura al talento del numero 8.

Come spesso succede, probabilmente tutti i dubbi saranno risoluti sfruttando l’All-Star Game, che rappresentando una pausa dai ritmi folli della regular season a pochissimi giorni dalla deadline, si presta perfettamente alla discussione più o meno seria di trade. Concetti evidenziati dallo stesso coach Brown (“le possibilità che qualcosa accada salgono di livello man mano che ci avviciniamo alla trade deadline”) nel post-partita. A Brown è stato anche chiesto se questo “trattamento” di Okafor continuerà ad oltranza: “il nostro rapporto è ancora fluido, ma se vedete che non gioca, probabilmente questo [preservarlo in vista della trade, ndr] è il motivo”.

Comunque, l’ex-vice allenatore di Popovich agli Spurs non ha nascosto le difficoltà emotive legate ad un possibile addio di uno dei suoi giocatori più significativi. “Sento un conflitto, sono davvero combattuto, perché ho speso tanto tempo con questi ragazzi che sono davvero giovani. Spero di avergli dato i consigli giusti quando sono venuti a cercarli da me. Ho cercato di allenarli ed educarli per fargli capire che tutto questo [la trade, ndr] sarà sempre parte della loro vita in NBA, e spesso non è qualcosa che dipende dal singolo giocatore. Fa parte della frenesia di una stagione NBA, e fai fatica a trovare giocatori che giocano con la stessa squadra per tutta la carriera”.
 

"Nonostante dica questo, quando un giocatore arriva da te per dirti che non sarà più parte della tua squadra, entra in ballo comunque un discorso umano. Sono affezionato a Jahlil Okafor. Ho molto più rispetto di lui di quanto non ne avessi all’inizio dell’anno, e già era molto. È un essere umano che affronta tutto con una classe esemplare”.

Insomma, l’arrivo di Noel, Okafor, Embiid e Simmons nel giro di quattro anni nella stessa franchigia rendeva molto difficile trovare un equilibrio senza l’utilizzo di trade. E, cercando di leggere nella sfera di cristallo, probabilmente lasciar partire Okafor è la scelta più sensata: Embiid e Noel avranno spazio per rendere al meglio senza presenze ingombranti vicino, Richaun Holmes potrebbe avere l’occasione di dimostrare se davvero è all’altezza dei parquet NBA, e Ben Simmons potrà essere inserito con tempi e ruoli cuciti su misura. Dall’altra parte, Okafor potrebbe trovare una franchigia intenzionata a puntare su di lui nel futuro, con giocatori più esperti da cui prendere esempio e magari anche con un all-star come Anthony Davis accanto.