Se cercassimo un esempio di fiducia nei propri mezzi nella NBA, una delle scelte in cima alla lista (forse in combutta solo con LeBron) è sicuramente James Harden. Il prodotto di Arizona State non ha mai nascosto la reputazione che ha di se stesso: un MVP fatto e finito. Due anni fa arrivarono le sue dichiarazioni non esattamente al miele dopo che il titolo fu assegnato a Steph Curry, mentre la scorsa stagione il Barba ha ammesso candidamente di ritenersi il miglior giocatore sul pianeta. Nonostante da una parte le cifre sembrino dargli ragione (secondo nella classifica dei punti segnati, primo per minuti giocati e tiri liberi a bersaglio), la guardia di Houston non figura in nessuno dei tre quintetti migliori della lega, complice anche l'applicazione difensiva praticamente nulla e le tante difficolta del 2015/16 dei suoi Rockets.
Per cui, le dichiarazioni arrivate qualche giorno fa (“sono il miglior giocatore della Lega”) non hanno creato chissà quanti terremoti nell'ambiente. Stavolta, però, le cose potrebbero farsi serie. L'inizio di stagione con gli Houston Rockets è stato incoraggiante: l'allontanamento di Howard ha permesso ad Harden di essere padrone indiscusso nello spogliatoio, ed allo stesso tempo di trovare due fedeli scudieri come Ryan Anderson ed Eric Gordon. Mike D'antoni, sedutosi sulla panchina dei missili biancorossi quest'estate, non è di certo un esperto di fase difensiva, ma sembra aver dato un'identità solida alla squadra, oltre ad essere l'autore del cambiamento tattico che potrebbe svoltare la stagione della franchigia: James Harden in versione point guard. Il 13 è sempre stato il principale smistatore di palloni, ma nella sua nuova posizione sembra sentirsi totalmente a suo agio: fino ad ora, ogni allacciata di scarpe ha portato 30.9 punti, 13 assist e 7.6 rimbalzi.
Nel derby contro San Antonio è arrivata una tripla doppia da 24-15-12, la decima della carriera e la prima nella storia di Houston da 15 assist, con annessi complimenti (sempre nel suo personalissimo stile) da Gregg Popovich: “È sempre stato un gran passatore. Ora che gioca da point guard ha la palla nelle mani più spesso. È uno dei migliori della lega, davvero difficile da marcare”.
Da quando ha lasciato Oklahoma City (dove agiva da sesto uomo, complici anche le esplosioni di Durant e Westbrook) i suoi numeri sono lievitati: su 322 partite giocate in canotta Rockets, 261 lo hanno visto protagonista con oltre venti punti, con una serie aperta di 23 partite consecutive che lo conferma come una delle migliori bocche da fuoco di questa generazione.
Contro gli acerrimi rivali il Barba ha giocato 40 minuti dei 42 totali, stabilendo un nuovo primato stagionale, e reagendo in maniera particolarmente sorpresa ai giornalisti che, nel post-partita, gli hanno chiesto se fosse arrivato col serbatoio semi-vuoto all'ultimo quarto. Se, come da dichiarazione letterale, davanti ai suoi numeri Harden “fa spallucce” e cerca di non pensarci, chi ci pensa eccome è il suo coach Mike D'antoni: “Gli chiediamo davvero tanto, ma sta facendo anche grandi giocate in difesa. Volevo lasciarlo riposare tre o quattro minuti, poi ho pensato che la partita ci stesse sfuggendo di mano. Avevamo bisogno di passare davanti in qualche modo, quindi l'ho ributtato dentro prima del normale”.
Insomma, l'inizio è stato sprint, ed il tappeto (bianco)rosso sembra disteso davanti a James Harden per centrare davvero il tanto agognato titolo di MVP. Se la prospettiva di un risultato importante a livello di squadra sembra quantomeno improbabile, anche nella corsa al premio di migliore della stagione la concorrenza sembra spietata. Per informazioni, citofonare – in ordine sparso – al campanello James, Curry, Davis, Durant, Westbrook, Lillard, Leonard, ...