Diventare il migliore di sempre. Scrivere il proprio nome nella storia, ed assicurarsi che nessun'altro ne venga scritto più in alto. Per i comuni mortali questo sarebbe un sogno irrealizzabile, ma se il tuo nome è LeBron James hai quasi il dovere di farne un obiettivo. Guardare sempre più avanti, più in alto, oltre. In questo caso, oltre il modello di chiunque abbia mai preso in mano una palla arancione: sua santità Michael Jordan. “E' un mio obiettivo personale, che non ho mai mollato. Voglio essere più grande del più grande. Tutti dovrebbero pensarla così”, sono state le parole -mai banali- del Prescelto all'Associated Press, all'interno di un'intervista che ha toccato i temi più vari.
Le analogie tra James e Michael Jordan sono parecchie, soprattutto come attitudine in campo (quella dei campionissimi), ed è indubbio che LBJ si sia ispirato in più di un aspetto al fenomeno con il 23, nonostante lui stesso abbia sempre allontanato il paragone. Dopo aver vinto il primo titolo NBA di Cleveland con i Cavaliers, però, James sembra intenzionato a scoprire le carte: “sto inseguendo un fantasma. Un fantasma che ha giocato a Chicago”. Non me ne vogliano Omer Asik o simili, ma non ci sono troppi dubbi sulla sagoma evanescente in questione.
La cosa particolare, però, è come LeBron faccia sembrare la sua rincorsa verso il migliore dei migliori, il dio assoluto di questo sport, una cosa perfettamente normale, quasi un obbligo di coscienza che tutti dovrebbero seguire nella loro vita: puntare sempre in alto. E una volta arivati, ancora più in alto. Così via. Usando i successi come benzina per continuare a correre, possibilmente sempre più veloce. “Se lavori per un'azienda, o per un designer, ovunque; nella tua testa ti viene da dire 'oh, dovrei essere come quel tipo, perché ha fatto una cosa giusta'. Guardi sempre ai migliori, ed è questo che faccio da sempre: usare le motivazioni che Jordan mi ha dato da bambino, continuare ad usarle anche ora, perché voglio essere dov'è lui. Questo non è mai cambiato. Le persone le scambiano per chiacchiere, ma questo è il mio obiettivo personale, e lo voglio raggiungere”.
Dopo essersi espresso così, comunque, LBJ ha prima scherzato sulla sua preparazione (“mi servono un altro paio di mesi per essere in forma”), per poi parlare della sua carriera e dei ritiri illustri che hanno anticipato l'inizio della stagione. A trentun'anni, il Re sta iniziando a pensare al momento in cui abbandonerà la corona: “ora tocca alla mia generazione”. Già, una generazione che insieme a lui conta giocatori del calibro di Anthony, Wade e Bosh, tutti entrati nella lega assieme a lui. “Siamo i prossimi nella linea, abbiamo dato al basket tutto quello che potevamo dare. Siamo i prossimi, e questo ti fa riflettere su tutto: non prendi più nulla per certo. Io non lo faccio mai, ma nella mia carriera ho sempre pensato 'ehi, in che momento incredibile sono capitato'. Devo provare a dare il meglio che ho, finché posso”.
Come dopo il titolo del 2012 con Miami, ora James è chiamato a ripetersi, con i suoi Cavaliers che approcciano per la prima volta una stagione da campioni in carica. “Sono affamato come prima. E' come se non avessimo vinto. La natura umana direbbe di rilassarsi, ma lavori così duro e vedi risultati, perché non provare di nuovo quella sensazione?”. Riguardo ai festeggiamenti della città, poi, il Prescelto ha ricordato quanto sia stato importante per lui riportare il titolo a casa sua: “è stato incredibile. Era quello che volevo fare. Sono tornato per questo, per far festeggiare la città e la regione. Sapere di aver dato una mano per far scordare alle persone la storia sportiva recente di Cleveland, è qualcosa di incredibile”.