Fare in modo che tutto cambi affinchè nulla cambi. Dovranno essere dei San Antonio Spurs gattopardeschi quelli che affronteranno la stagione Nba 2016-2017. La prima dal 1997 senza Tim Duncan. Ma non solo. Molto è cambiato quest'estate all'ombra dell'Alamo, tra giocatori, membri dello staff tecnico e del frontoffice. Hanno salutato infatti assistenti di Gregg Popovich, come Chad Forcier (considerato uno dei mentori di Kawhi Leonard), e fidati collaboratori del general manager R.C. Buford, come Sean Marks, chiamato a ricostruire dalle fondamenta i disastrati Brooklyn Nets, come Scott Layden e Brian Pauga, ora ai Timberwolves con Tom Thibodeau.
Come ha confessato lo stesso Buford a Michael C. Wright di Espn, "provi per anni a prepararti all'addio di Duncan, ma alla fine è dura ascoltare quelle parole" (riguardo al ritiro, ndr). Sono degli Spurs che qualcuno definirebbe di transizione, se non fosse che, parole ancora di Buford, "nel corso degli anni abbiamo già vissuto momenti di transizione, ma c'era sempre una costante: Tim Duncan. Ora quel punto di riferimento non c'è più, e l'altro lato della medaglia è che abbiamo un nuovo gruppo, fatto di persone fantastiche, che può crescere insieme". Prova a vedere il cambiamento come un'opportunità anche Gregg Popovich, senza dubbio l'uomo più legato a Duncan di tutta San Antonio: "Quantomeno è divertente vedere quante facce nuove si aggirino per la facility - dice Pop - c'è del sangue nuovo in palestra. Non conosco neanche la metà dei membri dello staff che abbiamo assunto quest'estate, persone addette ai video, al management, agli uffici del frontoffice. Cammino in mezzo a un sacco di persone nuove, sia tra i giocatori che tra i componenti dello staff, e però penso che sarà stimolante vedere chi porterà qualche idea interessante, chi giocherà bene, chi si rivelerà un innesto azzeccato". E il cambiamento - non solo Duncan, ma anche Boris Diaw e Matt Bonner hanno salutato San Antonio - non altererà le aspettative sui neroargento, ai playoffs da una ventina d'anni e reduci da una stagione da sessantasette vittorie in regular season, con il terzo miglior coefficiente di efficacia offensiva, il primo di quella difensiva e il miglior netrating di tutta l'Nba.
Proprio Gregg Popovich è garanzia di continuità, per una squadra che ha perso la sua ancora difensiva e dovrà trovare un nuovo assetto offensivo. Perchè Pau Gasol non è Duncan, e perchè Kawhi Leonard è ormai pronto a prendersi la leadership degli Spurs, nonostante la giovane età: "Siamo ancora una squadra da titolo - dice il difensore dell'anno - non sappiamo quanto ci mancherà Tim sul campo, sappiamo solo che non è qui, ed è abbastanza per farci sentire più soli. Ci manca già la sua personalità, i suoi scherzi durante gli allenamenti, tutte quelle cose che riempivano lo spogliatoio. Ma ora dobbiamo essere concentrati sulle vittorie e sui miglioramenti: siamo un gruppo competitivo".
Un gruppo che sfoggerà ancora una volta il doppio lungo, in totale controtendenza rispetto all'Nba contemporanea. Con LaMarcus Aldridge, che da quest'anno dovrà prendersi responsabilità anche dal punto di vista difensivo, ci sarà Pau Gasol, uno dei pochi, per talento, classe e personalità capace di reggere la pressione derivante dalla sostituzione del caraibico. "Tim è stato un giocatore unico ed eccezionale - le parole del catalano - è considerato da molti di noi come la miglior power forward che abbia mai calcato un campo da basket. Io non sono qui per rimpiazzarlo, ma solo per inserirmi al meglio in un gruppo che vuole vincere il titolo. E' allo stesso tempo una sfida, un'opportunità e un privilegio. Sarà difficile replicare quanto Duncan faceva sul campo e nello spogliatoio. E' insostituibile, ecco perchè tanti ragazzi dovranno fare un passo in avanti sotto il profilo della leadership e dare una mano nella costruzione di una nuova identità di squadra".
Parole che non lasciano spazio a interpretazioni. Agli Spurs è richiesto il titolo, come accaduto in ogni singola stagione dell'era Duncan. Nello spogliatoio i giocatori ne sono consapevoli, ma c'è anche chi preferisce spargere in giro una bella dose di realismo. E' Manu Ginobili, il fenomeno da Bahia Blanca rimasto per un'ultima cavalcata, nonostante la sua carriera si sia nel tempo legata a doppio filo a quella di Duncan: "Vero, ora non ci sono più i Big Three, quelli originali, bensì tante facce nuove, tra cui quella di Pau, che costituirà un elemento fondamentale del nostro gioco. Ma gli ci vorrà del tempo per capire la nostra filosofia di pallacanestro e adattarvisi. Alla fine si inserirà alla perfezione, ma non nel breve periodo. Sono molto ottimista, anche se non potremo certo aspettare marzo per cominciare a giocare al top. Chiederci di vincere altre sessantasette partite di regular season credo che sia eccessivo. Mai dire mai, ma 67 è un numero folle, è qualcosa che è capitato l'anno scorso e mai prima, nonostante questa franchigia abbia avuto squadre straordinarie negli ultimi quindici-venti anni. Sono convinto che il nostro obiettivo possa attestarsi sulle cinquantacinque vittorie, come successo spesso nelle ultime stagioni".
Ginobili resta uno degli esterni chiave a disposizione di Popovich. In tanti si concentrano - come è naturale - sui nuovi lunghi degli Spurs, da Gasol a Bertans, da Lee a Dedmon, ma è forse il reparto esterni quello che lascia maggiori interrogativi. La tenuta atletica di Parker, il rendimento di Danny Green, la crescita di Kyle Anderson, tutti elementi fondamentali per un gruppo che non ha più tanti trattatori di palla in grado di creare per se stessi e i compagni. Vero, ci sono Patty Mills e il giovane Dejounte Murray, quest'ultimo un'incognita tutta da individuare, ma senza un Tony Parker old style - e soprattutto senza la regia occulta di Duncan, pointforward come pochi altri - gli Spurs sembrano destinati a fare fatica. Anche se nessuno come loro conosce la forza del cambiamento.