Dopo Kobe Bryant e Tim Duncan, un altro gigante della pallacanestro Nba si ritira dall'attività agonistica. E' infatti di poche ore fa la notizia, diffusa inizialmente dall'agenzia di stampa Associated Press, secondo cui Kevin Garnett saluta il basket professionistico dopo ventuno stagioni da protagonista. Una decisione che il diretto interessato ha voluto comunicare solo con un video d'addio sul proprio profilo Instagram, e che ha già colpito milioni di tifosi Nba sparsi per il mondo. Quarant'anni, Garnett ha risolto il proprio contratto che lo legava ai Minnesota Timberwolves, franchigia nella quale era tornato dopo gli anni a Boston e Brooklyn.
Kevin Garnett fu scelto dai Minnesota Timberwolves al Draft del 1995. Fu il primo giocatore selezionato direttamente dall'high school (senza passare dal college) dai tempi di Darryl Dawkins e Bill Willoughby nel 1975. Successivamente solo giocatori del calibro di Kobe Bryant e Jermaine O'Neal (1996), Tracy McGrady (1997), Amar'e Stoudemire (2002), LeBron James (2003) e Dwight Howard (2004) sarebbero stati scelti senza aver avuto alcuna esperienza di pallacanestro NCAA. La sua carriera può essere idealmente divisa in tre parti: una prima, in cui ha vestito la maglia della squadra della sua vita, dal 1995 al 2007, senza però mai riuscire ad accedere alle Nba Finals. Costantemente ai playoffs dal 1997 al 2004, Garnett e i suoi Timberwolves collezionarono ben sette eliminazioni al primo turno (due volte contro gli Spurs, oltre che contro Rockets, Supersonics, Mavericks, Trail Blazers e Lakers), fino a issarsi finalmente alla finale di Conference nel 2004, persa per 4-2 contro i gialloviola di Phil Jackson, Kobe Bryant, Shaquille O'Neal e Karl Malone, a loro volta poi sconfitti dai Detroit Piston di Larry Brown. The Big Ticket - così come soprannominato nei primi anni della sua carriera - decide così di lasciare Minneapolis nell'estate 2007, per raggiungere Paul Pierce e Ray Allen ai Boston Celtics di Doc Rivers. Dopo una splendida regular season, i biancoverdi vincono al primo colpo il titolo Nba, sconfiggendo 4-2 in finale i Lakers della seconda era Phil Jackson. Vittoria che non sarà mai bissata, perchè nel 2010 la seconda apparizione alle Finals fu caratterizzata dalla famosa sconfitta in gara-7 contro lo stesso avversario allo Staples Center.
MVP della regular season 2004, Garnett è stato uno lunghi più dominanti della sua generazione, spesso contrapposto al grande rivale Tim Duncan per personalità e stile di gioco. Tanto cerebrale e tecnico il caraibico, quanto esplosivo, aggressivo e atleticamente intimidatorio KG, che ha fatto del trash talking in campo uno dei suoi marchi di fabbrica. Dal punto di vista tecnico è stato un grande difensore, per capacità di coprire l'area quasi da solo. Ottimo stoppatore, più di forza che di tempismo, è stato forse il miglior rimbalzista della sua epoca, con palloni che venivano acciuffati con una forza primordiale, quasi a volerli sgonfiare. In attacco, Garnett si è costruito con gli anni un tiro in fade away dallo spigolo sinistro del campo, vera e propria arma letale per la capacità di creare separazione con l'avversario e per l'alta parabola. Non eccessivamente vario nel gioco in post-basso, nelle fasi finali della sua carriera ha approntato anche un affidabile tiro dalla media distanza. Ma ciò che alcun numero potrà mai spiegare è stata la leadership, il carisma messo in campo ogni sera dal numero ventuno dei Timberwolves - poi cinque ai Celtics - che non ha mai mancato di far sentire la propria presenza a rivali e compagni di squadra.
Complessivamente, ha vinto meno di quanto sarebbe stato lecito pronosticare al momento del suo ingresso nella lega: soprattutto un paio di edizioni dei suoi Celtics sono arrivate vicino alla conquista del titolo, fermandosi però a pochi metri dal traguardo. Salutata Boston nel 2013, KG ha trascorso un disastroso anno e mezzo ai Brooklyn Nets insieme all'amico Paul Pierce, prima di ritornare a Minneapolis, voluto ancora una volta dal suo mentore, il compianto Flip Saunders. La sua esperienza come chioccia dei giovani Timberwolves (Karl-Anthony Towns, Andrew Wiggins e molti altri) sembrava poter durare per un'altra stagione, ma ricorrenti problemi fisici (spalle e ginocchia) lo hanno indotto a dire basta, pronto però ad essere catapultato a breve nella Hall of Fame di Springfield, Massachusetts.