Nel giovedì delle celebrazioni a Springfield, Massachusetts, alla vigilia della cerimonia di induzione di stanotte, Allen Iverson si presenta in ritardo al Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, ma si fa poi perdonare dai giornalisti presenti rispondendo per oltre mezz'ora a domande sulla sua carriera. "The Answer" dimostra di non essere molto cambiato rispetto a quando giocava e dominava nell'Nba, riuscendo nell'impresa di mancare alla consegna della cosiddetta Naismith Orange, la classica giacca arancione riservata ai nuovi membri della Hall of Fame.

"Problemi familiari", si giustifica Iverson per il ritardo, mentre indossa i soliti jeans strappati, una maglietta nera e il cappellino dei New York Yankees e si prepara a rispondere alle domande dei giornalisti, raccontando di quando, da bambino, avrebbe voluto essere una stella dell'NFL, un grande giocatore di football. E invece è diventato uno dei migliori interpreti del ruolo di playmaker nella storia dell'Nba: "Ciò che davvero mi ha portato fin qui sono stati i miei compagni di squadra - dice The Answer con le lacrime agli occhi - i miei compagni di squadra e i miei allenatori. E' questo l'unico motivo per cui sono qui adesso. Tutti quei ragazzi si sono sacrificati per me, hanno modificato il loro gioco e tutto il resto per fare in modo che io ricevessi un riconoscimento del genere. Ora ce l'ho fatta, ma senza di loro tutto ciò non si sarebbe mai verificato. Voglio ringraziare anche i miei allenatori, che mi hanno messo nelle condizioni per avere successo. Mike Bailey lo ha fatto quando ero ancora all'high school, John Thompson mi ha insegnato molto al college, e Larry Brown mi ha fatto diventare un MVP in Nba e adesso un giocatore da Hall of Fame. Ripeto, senza di loro non sarei qui. Non ho fatto tutto da solo, anzi. Nella mia carriera ci sono state tante persone, tanti tifosi che sono venuti ogni sera a incitarmi mentre giocavo".

"In tanti hanno creduto in me e mi hanno supportato, hanno fatto in modo che anche per me fosse più facile credere in me stesso, anche perchè non volevo deluderli. Ho sempre voluto che i miei tifosi, la mia famiglia e i miei amici potessero essere orgogliosi di meNel discorso di domani parlerò anche di chi invece mi ha denigrato per tutto il corso della mia carriera, ma ora non è il momento. Tutti coloro che mi hanno sempre criticato, i miei detrattori, sono stati comunque un grande stimolo per me, perchè ho lavorato duro per dimostrare loro che si sbagliavano. Ho dovuto superare tutte le cose negative che sono state dette sul mio conto per poter indossare questa giacca della Hall of Fame in questo momento. E' anche merito di tutti quelli che mi hanno sempre detto di no ("Naysayers", ndr) se sono qui, in fondo mi hanno aiutato. Quando sono entrato nell'Nba volevo essere come Michael Jordan. Tutti avrebbero voluto essere come lui, ma ovviamente non potevo essere lui, così ho imparato da altri, come Julius Erving e Moses Malone. All'epoca ero un ragazzino, e ogni volta che facevo un errore non mi rendevo conto di farlo. Sono sempre stato povero, poi d'un tratto sono diventato ricco. Sto ancora cercando di capire quali sono state le conseguenze dell'essere stato un giocatore Nba, da questo punto di vista sto ancora imparando e sono alla ricerca della mia strada. Credo che la cerimona di domani renda orgogliosi tutti i miei tifosi, tutti coloro che mi hanno sempre supportato e che d'ora in poi potranno dire di aver visto un giocatore che è finito nella Hall of Fame".