Sono trascorsi tre anni dall'ultima apparizione ai playoffs dei Denver Nuggets. Era la stagione 2012/2013, quella delle cinquantasette vittorie in regular season, con George Karl - premiato come coach of the year - in panchina. Una post-season amara, caratterizzata dall'eliminazione al primo turno contro i Golden State Warriors di Steph Curry (ma non ancora di Steve Kerr), contribuì alla rivoluzione nella franchigia del Colorado. Fuori l'esperto Karl, dentro Brian Shaw, addio ad Andre Iguodala, passato proprio ai Warriors, e soprattutto al general manager Masai Ujiri (anch'egli executive dell'anno), volato via destinazione Toronto Raptors.

Da lì in poi tanta confusione, emersa con il prematuro esonero di Shaw alla fine della stagione 2014 (interim coach Melvin Hunt), e con qualche scelta discutibile al Draft (come cedere i diritti su Doug McDermott ai Chicago Bulls in cambio di Yusuf Nurkic e Gary Harris). In mezzo, i problemi al ginocchio di Danilo Gallinari, unica stella della squadra rimasta a Denver dopo il grande esodo dell'estate 2013. Il Gallo, assoluto protagonista dell'era Karl, si infortuna infatti gravemente sul campo dei Dallas Mavericks in aprile, poco prima dei playoffs, salvo ritornare a tempo pieno solo nel finale della regular season 2014/2015, lasciando la franchigia senza un vero punto di riferimento tecnico. Si perdono poi per strada altri buoni giocatori, da Evan Fournier, finito agli Orlando Magic, a Ty Lawson, che per gravi problemi extracampo viene ceduto agli Houston Rockets. Il nuovo general manager Connelly riesce però a pescare al Draft 2015 il talentuoso ghanese Emmanuel Mudiay, point guard di grande prospettiva per fisico e tecnica, oltre a garantirsi le prestazioni sportive del serbo Nikola Jokic, interessante lungo dotato di buon raggio di tiro. La squadra così assemblata, che ha in Kenneth Faried uno dei tanti giocatori fermatisi durante il loro percorso di crescita, viene affidata a Mike Malone, reduce da un'esperienza per certi versi positiva ai Sacramento Kings. I Nuggets chiuderanno la stagione 2016 in maniera dignitosa, ma lontanissimi dagli standard rischiesti per approdare ai playoffs.

Della squadra di George Karl, costruita sulla base del concetto del talento diffuso, senza superstar - quantomeno di nome - è rimasto ben poco, forse il solo Danilo Gallinari, giocatore di caratura superiore, spesso al centro di voci di mercato riguardanti trade che lo avrebbero voluto finire ai Boston Celtics o ai Los Angeles Clippers. Ma franchigia e giocatore tengono il punto: Gallinari resta, con soddisfazione di entrambe le parti, nonostante il lodigiano dica a chiare lettere di aspettarsi un roster competitivo per poter esprimere tutto il suo potenziale. All'ultimo Draft i Nuggets pescano Jamal Murray, canadese classe 1997 proveniente da University of Kentucky, uno dei prospetti più interessanti dell'intera lottery nel reparto guardie, la cui compatibilità con Mudiay è però ancora da verificare. Con Murray ecco giungere anche Malik Beasley, altro esterno tutto da scoprire, per una squadra che in quelle posizione del campo può contare anche su Jameer Nelson, Will Barton e Gary Harris. Il ruolo di Gallinari resta un punto interrogativo: ala piccola per vocazione, potrebbe anche essere schierato da numero quattro per allargare il campo, data la non eccelsa qualità dei lunghi a disposizione di Malone. Anche qui troviamo qualche doppione di troppe sulle montagne del Colorado: detto di Faried, ecco spuntare giocatori simili come Lauvergne e Nurkic, per non parlare dell'Hernangomez minore, il fratellino di quel Willy appena ammirato alle Olimpiadi con la maglia della Spagna. Insomma, ancora una volta un roster dal talento discreto, ma privo di giocatori di livello assoluto, per una stagione che si annuncia nuovamente di transizione. Forse l'ultima, prima di capire se a Gallinari e ai Nuggets convenga continuare così.