Con l'inizio della free agency parte la fase più caotica del mercato Nba e, in tutto questo bailamme, l'appassionato medio rischia di perdersi nel mare delle trattative e in un labirinto di termini e regole non sempre chiarissime, visto che il mercato sportivo americano funziona in maniera molto diversa rispetto a quello europeo (soprattutto calcistico). Proviamo, quindi, a spiegare nel modo più chiaro possibile le principali linee guida di un sistema unico nel suo genere.
Partiamo da un presupposto. Il mercato Nba è paradossalmente semplice nella sua complessità. Soprattutto perché tutto ruota intorno al concetto di Salary Cap, termine con il quale vengono indicati i limiti imposti alle franchigie per l'ingaggio dei giocatori. Lo scopo è chiaro e duplice: contenere i costi e mantenere un livello di competitività generale tanto elevato quanto equilibrato. Il Cap, quindi, è la soglia di spesa per gli stipendi dei giocatori oltre la quale una squadra non potrebbe andare. Condizionale d''obbligo visto che quello della Nba, rapportato a quello delle altre leghe professionistiche quali NHL e NFL, può essere considerato un soft Cap caratterizzato dalla presenza di alcune eccezioni. Tre in particolare:
- Salary floor: il minimo che ogni franchigia è obbligata a spendere in stipendi. Generalmente costituisce il 90% del cap e, qualora non venga raggiunto, la squadra è obbligata a distribuire tra i contratti già posti in essere quello che non è stato speso;
- Luxury Tax: è la sanzione, di natura prettamente economica, comminata a chi va oltre la soglia di spesa. E' proporzionata allo sforamento, in quanto sono previste varie fasce che comportano il pagamento di una cifra che va da 1.50 a 4 dollari per ogni dollaro speso in eccesso;
- Apron: area in cui intervengono ulteriori e più incisive limitazioni alle operazioni di mercato quando lo sforamento va addirittura oltre l'ambito della tassa di lusso;
Il ricavato da quest'ultima, inoltre, viene redistribuito tra i team che si sono dimostrati accorti e virtuosi, i quali decideranno come utilizzare il denaro extra: migliorare tutto ciò che concencerne l'ambito dello staff tecnico (i cui stipendi, per regolamento, sono slegati dal cap) oppure metterlo da parte in vista di un anno in cui dare l'assalto al titolo e andare essi stessi in regime di luxury tax sforando la soglia degli stipendi per ingaggiare altri giocatori che, in condizioni normali, non potrebbero essere messi sotto contratto.
In ogni caso tutto è regolato dal Collective Bargaging Agreement, il cosiddetto contratto collettivo, stipulato tra la Nba e l'Associazione Giocatori, che disciplina ogni aspetto legato alle trattative di mercato: trades, cap, massimi e minimi contrattuali.
Dal 2011, comunque, il tetto salariale viene annunciato di anno in anno.
Fatta questa doverosa premessa, le modalità con cui una squadra Nba può mettere sotto contratto un giocatore sono essenzialmente tre:
- Free Agency: il caposaldo al quale è ancorato l'intero sistema in cui, ricordiamo, non è previsto un costo del "cartellino". Alla naturale scadenza del contratto, quindi, l'atleta in questione può essere ingaggiato dalla squadra che abbia abbastanza spazio salariale per offrirgli quanto chiede.
Se il monte salari è al di sotto del cap, il restante può essere offerto, in tutto o in parte, ad uno o più giocatori fino al raggiungimento del limite. Quando, comunque, è possibile poter contare sulla Room Mid-Level Exception che consente di firmare altri giocatori, ma solo al minimo salariale.
Se, invece, il monte salari ha superato il cap ma è ancora al di fuori dell'area della luxury tax, si può contare unicamente su due tipi di deroghe: la Mid-Level Exception, utilizzabile ogni anno per uno o più giocatori, pari a poco più di 5 milioni di dollari; la Bi-Annual Execption, pari a 2 milioni di dollari e utilizzabile ad anni alterni. Esperite tali eccezioni sarà possibile firmare solo giocatori solo ai minimi contrattuali.
Se, ancora, il monte salari è di molto al di sopra del limite consentito alle squadre sarà concesso di utilizzare una versione "ridotta" (poco più di 3 milioni) della Mid-Level Exception, oltre alla possibilità di mettere giocatori sotto contratto al minimo;
- Trades: gli scambi veri e propri, che possono avvenire tra due o più squadre, sempre tenendo conto della situazione salariale di tutte le parti in causa. Il principio di base è quello della parità, con un margine del 25% più 100mila dollari: ad esempio è possibile scambiare un giocatore che guadagna 1 milione con uno che guadagna 1 milione e 350mila, ma non con un altro che, invece, di milioni ne guadagna 2. Gli atleti coinvolti negli scambi, generalmente, non possono rifiutare di trasferirisi anche se, in casi di particolare leverage, qualcuno è riuscito ad inserire nel proprio contratto la no trade clause, clausola che consente al giocatore di rifiutare le destinazioni a lui non gradite;
- Sign and trade: si verifica nell'eventualità in cui una squadra firma un giocatore free agent per poi girarlo immediatamente ad un'altra franchigia (che ha il gradimento del giocatore in questione). E' una delle soluzioni maggiormente vantaggiose per entrambe le parti: il giocatore che riesce a massimizzare i propri introiti; la squadra che libera spazio salariale in relazione a quanto l'atleta andrà a guadagnare altrove.
E' evidente, quindi, come in tema di contrattualistica sportiva in Nba valga il principio generale dell'accordo che resta in vigore fino alla naturale conclusione dello stesso.
Tuttavia non mancano le dovute eccezioni che consentono la risoluzione anticipata del rapporto; a condizione, però, che vengano inserite nel contratto fin dall'inizio e previa accettazione dell'incompatibilità l'una con le altre. Stiamo parlando di Team Option, Player Option e Early Termination Option. Le prime due sono esperibili nell'ultimo anno di qualsisasi contratto pluriennale, con la squadra e il giocatore ad avere la possibilità di uscire anticipatamente dal contratto stesso. La terza, invece, è utilizzabile esclusivamente nell'ultimo anno di un contratto quinquennale, con la facoltà di recesso che spetta unicamente al giocatore.
Discorso a parte meritano le estensioni. Generalmente sono possibili per contratti di almeno quattro anni e per i giocatori in uscita dal primo contratto da rookie (a patto che siano stati scelti al primo giro del Draft). Normalmente l'estensione vale per i successivi tre anni che diventano quattro o cinque nel caso in cui si parli di Designated Player, vale a dire il giocatore franchigia. Per quest'ultimo, infatti, è possibile arrivare ad offrire fino al 30% dell'intero monte ingaggi se, nei primi quattro anni di carriera, è riuscito a raggiungere i seguenti obiettivi, non necessariamente concorrenti:
- due partecipazioni da titolare (starter) all'All Star Game;
- vittoria del titolo di MVP;
- due nomine come All Nba;
A queste condizioni (l'esempio più eclatante è stato quello di Derrick Rose prima che cominciasse a battagliare con le sue ginocchia ballerine) è possibile ottenere lo stesso massimo salariale di chi ha alle spalle tra gli 8 e i 10 anni di carriera. Ogni squadra può avere a roster un massimo di due franchise players e non può designarne uno nuovo fin quando non si sia esaurito il contratto di almeno uno dei due precedenti. In ogni caso, gli anni di esperienza incidono in maniera rilevante: per le prime sei stagioni un giocatore può aspirare ad un massimo di 13.5 milioni di dollari, che diventano 19 (a salire) dal decimo anno in poi.
Molto più semplice la situazione legata ai normali contratti delle matricole: qualsiasi squadra, a prescindere dal cap, può liberamente fermare le proprie prime scelte secondo i parametri stbiliti dalla cosiddetta rookie scale.
Ci sono, però, ulteriori deroghe legate al particolare status di un giocatore. Una soprattutto merita la nostra attenzione: si tratta dei cosiddetti "Larry Bird Rights". La ragione del nome è financo scontata: furono, infatti, i Boston Celtics ad avvalersi per primi di questa eccezione per poter rifirmare volta per volta il mitico "Larry Legend". In linea di massima si tratta della possibilità che una squadra ha di poter rinnovare un giocatore, indipendentemente dalla propria situazione di salary cap. Si sostanzia in tre ipotesi ulteriori:
- in caso di almeno tre anni di permanenza è possibile offrire un quinquennale al massimo salariale, con un aumento annuo del 7.5%;
- partendo da un minimo di due anni di permanenza, si può offrire un quadriennale fino a un massimo del 175% in più rispetto allo stipendio della stagione precedente. Anche in questo caso si avrà un incremento annuale del 7.5%;
- con appena un anno di permanenza è possibile offrire un quadriennale al 120% in più del minimo salariale, con aumento annuale del 4%;
Si tratta di diritti che, come i normali contratti, restano in vigore finché non si estinguono: quindi fin quando il giocatore rifirma, firma per un'altra squadra o in caso di rinuncia ai diritti in questione da parte della franchigia che li detiene.
Ciò detto, allo scadere del quarto anno di contratto da rookie, nonché a quella del primo contratto Nba vero e proprio, il giocatore deve essere considerato un Restricted Free Agent: vale a dire che alla squadra di appartenenza basterà pareggiare le offerte provenienti dalle dirette concorrenti, per continuare ad avere nel roster il giocatore stesso. Si tratta di un sistema basato sul principio della Qualifyng Offer vale a dire un' offerta predefinita che il giocatore può accettare o meno. In caso di risposta positiva il contratto si allunga di un'altra stagione alle cifra pattuite, al termine della quale il diretto interessato diventerà Unrestricted Free Agent (libero, quindi, di cercarsi la squadra che più gli aggrada); diversamente o prova a rinegoziare un nuovo accordo con la squadra di origine oppure raggiunge l'intesa con un altro team, sottoponendo l'offerta alla squadra originaria che, a questo punto, ha tre giorni di tempo per pareggiarla o meno.
Appare evidente come, in un contesto simile, le maggiori tutele siano per le squadre piuttosto che per i giocatori. Questo anche nel caso della Amnesty Provision: in questo caso, infatti, il giocatore amnistiato (sia che resti senzi squadra, sia trovandone una nuova), pur continuando a percepire quanto gli spetta da contratto, vedrà il proprio stipendio sparire dal monte ingaggi del team. A una condizione, però: la "clausola amnesty" può essere esperita soltanto per i contratti già esistenti e antecedenti all'ultimo lockout avvenuto nel 2011.
Molto meno vantaggioso è il Buy-Out che agisce su un piano diametralmente opposto alla già menzionata sign and trade: mentre quest'ultima soddisfa tutti, il Buy-Out non presenta vantaggi sostanziali per nessuno. Questo perché si identifica con quella che noi chiamiamo comunemente "buonuscita", al termine di una trattativa tra la franchigia e un giocatore indesiderato: quest'utlimo ci rimette parecchio rispetto a quanto gli deriverebbe dal normale rispetto dell'accordo; di contro, la squadra, continuerà a far figurare nel proprio cap lo stipendio (decurtato) di un giocatore che non può più utilizzare.
Bene adesso avete tutti gli elementi e le conoscenze del caso. Ma, fidatevi, lasciate comunque fare ai general manager: anche loro, pur conoscendo tutto questo da una vita e molto meglio di chiunque di noi, sono soggetti ad errori. Che costano carissimo in termini di verdoni e programmazione.