Una rimonta già di per se storica, alla quale manca soltanto la ciliegina sulla torta. Gara-7 delle Finals NBA accoglie i Cleveland Cavaliers laddove erano attesi dall'inizio della serie, forse da favoriti, forse no. Poco importa se le prime quattro gare - fatta eccezione per la terza, dominata - sono state ad appannaggio dei Golden State Warriors, l'inerzia e soprattutto la condizione psico-fisica della squadra allenata da Tyornn Lue sembrerebbe l'aspetto chiave all'ingresso di questa decisiva sfida, che sancirà la vincitrice del tanto agognato anello. Mai nella storia una squadra ha ribaltato la serie finale sotto per 1-3, così come mai nella storia si era ammirato un giocatore capace, per due gare di fila, di dominare in lungo ed in largo dopo aver patito le pene dell'inferno cestistico nelle prime partite.
"Follow my lead" - direbbe l'eletto - diventato improvvisamente padrone del destino suo e degli altri. La naturalezza con la quale è salito al proscenio conferma l'onnipotenza di LeBron James nel basket del nuovo millennio. Innegabile. Illegale. Anche per quelli che a suon di record hanno stravolto una stagione intera. Ciò non toglie che, alla vigilia della gara più attesa dell'anno, gli occhi del mondo non siano soltanto rivolti su di lui, bensì anche a quegli attori non protagonisti che nel corso della contesa hanno svolto un ruolo a dir poco fondamentale, decisivo per capovolgere la serie come un calzino, riportandola sui binari dell'equilibrio. Si parla di Kyrie Irving e di Tristan Thompson, fattore dominante sotto le plance.
Quella leadership dimostrata in lungo ed in largo nel corso della stagione: "All’inizio della scorsa stagione ci ha mandato un messaggio dandoci appuntamento in palestra il giorno dopo. Sono arrivato con un’ora di anticipo, ma lui era già in campo. Venivamo da stagioni difficili, e adesso vedere uno dei migliori giocatori NBA impegnarsi così tanto mi ha ispirato. Non avevo scuse. Non avevo scuse per non allenarmi, per non metterci tanto impegno extra, per non migliorare il tiro, i liberi, qualsiasi cosa serva alla squadra. Mi sento davvero fortunato ad avere in squadra uno come lui" le parole del venticinquenne centro dei Cavs. Proprio Thompson si è soffermato - ieri - inoltre sui temi della gara e sull'importanza della sua poresenza nel pitturato: "Nel mio ruolo devo essere una star, è quello che serve alla squadra: per me questo si traduce in metterci tanta energia, usare tutto il mio fisico, giocare duro. Devo farlo ad ogni partita, perché queste sono le Finals. E non serve aggiungere molto altro".
Dalle parole di Thompson a quelle di LeBron, ancora una volta faro anche fuori dal campo: "Sono pronto a dare tutto me stesso. Lo devo alla mia squadra, allo staff degli allenatori, come ho sempre fatto. Ciò che mi toglie il sonno è andare in campo e non giocare come so, quindi sono pronto a fare tutto quel che è necessario per raggiungere l'obiettivo. Sono tornato per una ragione, e questa è portare un titolo alla città di Cleveland. E' uno dei miei obiettivi. Scendiamo in campo e vediamo che cosa succede, senza pressioni. Già, perché molte persone amano usare nello sport questa parola, nella quale non mi sento coinvolto. La pressione è un'opportunità di fare qualcosa di speciale e sono fortunato di essere nella posizione di poterlo fare. E ci proverò con tutto me stesso".
Il messaggio, insomma, è discretamente chiaro. LeBron è pronto. Irving e Thompson sono pronti. Gara-7 è appena iniziata.