La prima sfida tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers ha visto l'affermazione dei campioni in carica, nonchè padroni di casa almeno fino a gara 2, in un match che ha visto la propria soluzione dopo una serie di ribaltamenti e un andamento che non è stato costante nei primi possessi. Il primo episodio di una saga attesa quasi come Guerre Stellari ha visto, come si è potuto ampiamente notare, protagonisti diversi da quelli che tutti si aspettavano e che tutti pubblicizzavano. Steph Curry, Klay Thompson e le loro triple per lanciare un messaggio dalla baia? Macchè, ci pensano Leandrinho Barbosa e sopratutto un poetico Shaun Livingston a portare in vantaggio il team di Oakland. La forza bruta di LeBron James per mettere sul piatto il primo scherzetto della serie? Nossignore, perchè sono soprattutto le mani dolcissime di Kevin Love a mantenere in partita i contender dei detentori dell'anello.

Si parte e si ha subito la sensazione che entrambe le squadre vogliano aprire al massimo il ventaglio delle scelte offensive. I Warriors lo fanno soprattutto perchè costretti dalla difesa, quasi famelica, nei confronti di Curry, che di fatto apre delle vere e proprie praterie per tutti gli altri: a conferma di ciò, si vada a vedere il modo orribile con cui la difesa dei Cavs dimentica, in maniera ciclica, i vari Iguodala, Ezeli e soprattutto Barnes a centro-area, con il numero 40 che vive una partenza a 5 stelle extra-lusso. Gli ospiti, una volta che le conclusioni pesanti non sembrano dare i giusti dividendi, attaccano in maniera ossessiva il ferro della Oracle Arena, soprattutto con James ma con il passare del tempo anche con altri interpreti. Abbiamo parlato di Love. Doveva essere lui l'ago della bilancia sulle due metà campo, e così è stato. L'ex T-Wolves è stato accoppiato da Lue in marcatura su Bogut e non su Green, tanto che ci ha pensato coach Kerr a portare proprio l'australiano per i pick'n'roll con Curry, ma il numero 0 ospite non si è fatto intimorire, tanto da rischiare a più riprese il recupero sull'MVP.

E poi, come si è ampiamente detto, scendono in campo le panchine. Livingston è immenso nel gestire il termometro degli attacchi dei Warriors e nell'andare a canestro con una frequenza e un'eleganza che fanno partire un solo grido: "Ma come fa questo qui a fare il sesto uomo?". E poi c'è l'insospettabile Barbosa, l'uomo al quale sono mancati momenti del genere nella fase più brillante della carriera, ovvero quando coach D'Antoni si affidava a piene mani a lui nell'era dei Phoenix Suns del "run & gun". La carta d'identità sconsiglia al brasiliano di correre e tirare, ma non gli nega alcuni canestri pesantissimi e una difesa a dir poco rabbiosa su chiunque gli capiti a tiro. Lo stesso non si può dire del "secondo quintetto" di Cleveland. Il meraviglioso Dellavedova visto nella scorsa serie di NBA Finals, almeno per il momento, non si è ancora palesato. La pessima serata di squadra al tiro pesante condiziona anche - anzi, soprattutto - Channing Frye, mentre gente come Shumpert e Jefferson soffre in maniera clamorosa l'impatto degli "omologhi" in canotta bianco-giallo-blu.

Pare quasi banale e scontato parlare di classe operaia in paradiso, o di una vittoria del gruppo per i Golden State Warriors, o di una caduta su tutta la linea del Cleveland Cavaliers. È banale dirlo se ci si affida alle fredde statistiche, se si esalta Livingston solo per l'8/10 dal campo o se si guardano solo - si fa per dire - i plus/minus. È tutt'altro che banale dirlo se si guarda l'impatto sulla partita dell'una e dell'altra panchina, in riferimento soprattutto all'uno e all'altro starting five. Quella di Golden State, in un certo senso, ha posto un "rimedio" alla serata opaca al tiro di Curry e Klay Thompson e ha regalato la fiducia necessaria per "finire" gli avversari. Mentre quella di Cleveland ha messo a repentaglio il grande contributo fornito dai titolari, fino a rovinarlo definitivamente. Ma è solo gara 1, checchè se ne dica...