La sesta apparizione consecutiva di LeBron James alle Nba Finals ha sancito definitivamente - semmai ce ne fosse ancora bisogno - la schiacciante superiorità delle squadre del Prescelto nella Eastern Conference. Dal 2007 in poi, il numero 23 della franchigia dell'Ohio, ha infatti mancato l'appuntamento con la serie finale solo in tre occasioni (2008, 2009 e 2010, quando furono Boston Celtics e Orlando Magic ad aggiudicarsi i playoffs dell'Est). In tutte le altre annate il dominio di James ha condotto i Cleveland Cavs (2007, 2015 e 2016) e i Miami Heat (dal 2011 al 2014) a giocare per il Larry O'Brien Trophy, aggiudicandoselo per due volte. 

Certo, la concorrenza sul fronte orientale non è stata sempre spietata, ma il dominio di LeBron si spiega anche grazie ad altri, incredibili, dati: nel 2011, anno del suo passaggio a Miami, la sua ex squadra (Cleveland) passò dall'essere la migliore della regular season alla peggiore, nell'arco temporale di soli dodici mesi. Non è andata meglio a South Beach nella stagione del ritorno ai Cavs (la scorsa) di LBJ: dalla finale Nba, persa contro i San Antonio Spurs, alla mancata qualificazione ai playoffs, il passo è stato fin troppo breve per la franchigia di Pat Riley. Ora, con l'ennesimo trofeo di Conference in tasca, James attende di conoscere la prossima avversaria nell'ultima serie verso il terzo anello di una carriera straordinaria per numeri e impatto nella lega, ma non ancora completamente soddisfacente quanto a titoli vinti. Golden State Warriors o Oklahoma City Thunder gli ultimi ostacoli, per delle Finals che prenderanno il via giovedì notte. Cavs dunque tranquilli e a riposo, rivali dell'Ovest costretti a dare tutto in quella che si preannuncia come una delle gare sette più seguite degli ultimi anni. Contro Curry e compagni l'Nba proporrebbe un gustoso remake della finale 2015, con tutti gli ingredienti del grande duello (James contro Curry, Kerr contro Lue ecc.), mentre in caso di sfida ai Thunder si ripresenterebbe una serie contro Durant e Westbrook, già battuti nel 2012, stavolta con il fattore campo dalla parte di Cleveland e non di OKC. 

Il cammino dei Cavs in questa stagione non è stato così agevole e privo di insidie come la cavalcata playoff lascerebbe pensare. I dubbi sul lavoro di David Blatt, responsabile della precedente gestione tecnica, hanno alimentato i primi mesi di regular season, in un clima di sospetti e di alibi, spazzato via dal general manager David Griffin in pieno inverno, con la decisione di piazzare il novizio Tyronn Lue sulla panchina della Quicken Loans Arena. La relativa competitività della Eastern Conference ha permesso poi a LeBron di concedersi qualche pausa in stagione regolare, e a Kyrie Irving di recuperare dal suo infortunio al ginocchio. Un record non esaltante ha dunque condotto Cleveland ai playoffs con la prima moneta a Est, sfruttata demolendo i Detroit Pistons prima e gli Atlanta Hawks poi, con le uniche due gare perse in finale contro i Toronto Raptors. Il roster dei vicecampioni Nba si è arricchito a metà febbraio di una pedina divenuta fondamentale come Channing Frye: l'ex giocatore di Knicks e Suns sembrava finito nel sottobosco cestistico a stelle e strisce, avviato verso un'anonima e crepuscolare ultima parte di carriera. A Cleveland Frye ha invece ritrovato condizioni tecniche ideali per esprimersi in attacco, dove sta tirando con precisione inusitata dall'arco, rendendo la fase offensiva dei Cavs tra le prime due dell'intera lega. Sono cresciuti intanto anche i giocatori di (relativo) contorno, da J.R. Smith a Iman Shumpert, passando per Tristan Thompson e Richard Jefferson, mentre Kevin Love è sembrato finalmente integrato e a suo agio anche nell'ambiente dello spogliatoio. Con Irving tornato ai suoi livelli, l'unico dubbio riguardante James e compagni risiede nella metà campo difensiva, mai realmente testata in questa primavera 2016. Sarà lì che Cleveland dovrà dimostrare di aver raggiunto livelli di eccellenza, per consentire a LBJ di mettersi al dito il terzo anello della sua carriera.