Disarmanti in attacco, ordinati tatticamente e finalmente solidi e decisi in difesa, tranne qualche piccolo passaggio a vuoto. Chi di voi avrebbe pensato che questo incipit sarebbe stato dedicato ai Cleveland Cavaliers? Sicuramente in pochi, probabilmente nessuno, ma certamente in molti sono rimasti sorpresi in positivo dall'atteggiamento avuto dalla compagine dell'Ohio in questa stagione, sia in regular season che - come principale conseguenza - nei playoff. Nessuno a Est è riuscito a tenere testa agli uomini guidati da Tyronn Lue, il quale ha avuto il merito di saper toccare le corde giuste in uno spogliatoio che non sembrava portare alcun rispetto alla figura dell'head coach nella figura di David Blatt. Ora, con l'ex giocatore dei Lakers, qualcosa sembra essere cambiato, probabilmente perchè nella testa dei giocatori è entrato l'unico vero obiettivo che conta, cioè vincere. Vincere al di là di tensioni interne, manie di protagonismo o di grandezza e di bisogno di emergere nella massa.
Questo lo ha capito soprattutto LeBron James, accusato di essere il principale carnefice di Blatt ma capace di dimostrare sul campo di volere il terzo anello della carriera più di ogni altra cosa al mondo. Il fenomeno di Akron ha anche goduto, per scelta dei due coach che si sono susseguiti ma anche per sua scelta, di un certo minutaggio in panchina fin dalla regular season. Ed è proprio questo fattore, ovvero la gestione del minutaggio delle stelle, uno dei punti di forza dei Cleveland Cavaliers nella caccia all'anello. Più di ogni altra contender per il titolo, infatti, più di una volta ha dovuto spremere le proprie star per portare a casa vittorie importanti. Che siano esse per raggiungere record di franchigia, primati di lega oppure semplicemente per imporsi nelle proprie serie di playoff. James, Love, Irving e Smith, invece, hanno potuto godere di un minutaggio un po' più contenuto, anche perchè nelle dieci gare fin qui disputate dai padroni della Eastern Conference ai playoff, lo scarto medio nelle singole partite è clamoroso: 14,4 punti di divario, con le gare 4 contro Detroit e Atlanta che sono le uniche finite sotto la doppia cifra di distacco.
Ecco, il netto divario tra i Cavs e le rivali dei due precedenti turni dei playoff, almeno nel confronto sul campo in gara secca e nella serie completa, rappresenta un altro elemento chiave nella corsa di Cleveland verso il primo anello nella storia della franchigia e dell'intera città. La compagine di coach Lue ha sempre dimostrato di voler chiudere le partite nel minor tempo possibile, approfittando proprio della freschezza dei propri elementi più validi e cercando a propria volta di lasciarli a riposare il più possibile nei finali di gara. E come abbiamo già valutato prima, il fatto di aver vinto in doppia cifra otto delle dieci gare fin qui disputate in post-season potrà essere una dote di energie mentali e fisiche importanti, per approcciare al meglio il doppio confronto all'Air Canada Center contro i Toronto Raptors, e magari per godersi qualche giorno di riposo in più in caso di qualificazione alle Finals, nei confronti di chi verrà fuori dal duello tra Warriors e Thunder.
E in un certo senso, nella buona dose di riposo - limitatamente alle gare ufficiali - di cui hanno goduto i Cavaliers in questi playoff rientra anche la gran fatica fatta dalle rivali dei numeri 1 a Est. Limitando la nostra analisi ai Toronto Raptors, che certamente non hanno avuto grande fortuna (infortunio di Valanciunas in primis), la franchigia canadese è reduce da due vere e proprie maratone nei due serie precedenti, contro i Pacers e soprattutto contro gli Heat, con l'ex squadra di LeBron James che ha dato gran filo da torcere a DeRozan e compagni, forse spinti proprio dal confronto di chi ha provato a fare la storia negli anni scorsi in Florida. Squadra riposata da una parte, squadra un po' "sbattuta" dall'altra: così, una serie che sulla carta avrebbe potuto mettere in scena un po' di clamore e movimento, sembra in realtà ormai segnata. E la caccia di LBJ al terzo anello della carriera può finalmente non prendere le sembianze di una mission impossible.