Nel mezzo di una pausa di quattro giorni tra il cambio di scenario della finale playoff della Western Conference 2016, Oklahoma City Thunder e Golden State Warriors preparano gara tre in programma domenica notte alla Chesapeake Energy Arena. I padroni di casa arrivano al primo punto di svolta della serie sull'1-1, essendo riusciti nell'impresa di passare ad Oakland nella sfida d'esordio, e ora si giocano molto del loro futuro (prossimo e remoto) nei due incontri casalinghi contro i campioni in carica, apparsi leggermente fuori ritmo e sfasati in questo primo mese di post-season.
Se i Thunder sono arrivati fino al punto di giocarsi le Nba Finals con il fattore campo dalla loro parte, lo devono soprattutto alla difesa, salita di colpi già nella serie contro gli Spurs e fondamentale per la vittoria in gara 1 nella bolgia gialla della Oracle Arena. A inizio serie si discuteva sulla marcatura individuale di Stephen Curry, pericolo pubblico numero per ogni difesa Nba. In realtà, come già ampiamente dimostrato anche in regular season dai San Antonio Spurs, la questione va molto oltre l'individuazione di un accoppiamento difensivo in single coverage, in quanto Billy Donovan, coach di Oklahoma City, è costretto a fronteggiare un giocatore - e playmaker - unico nel suo genere. Curry, a differenza della maggior parte delle altre point guards della lega, non parte sempre con il pallone tra la mani, ma piuttosto lo riceve in movimento, o correndo dietro ai blocchi dei suoi compagni o nella vorticosa girandola di passaggi che costituisce l'attacco dei Warriors. Assolutamente letale da tre punti - che sia in transizione o dal palleggio a difesa schierata fa poca differenza - Steph va limitato con una difesa di squadra. Ed è quanto fatto da OKC nei primi due episodi della serie: a volte raddoppiato a dieci metri dal canestro, a volte con un lungo in aiuto sul pick and roll, attraverso il classico show forte di uno tra Ibaka e Adams. Tuttavia con Curry si sta andando oltre la normale aggressività sul pick and roll, perchè mai si erano visti degli avversari coinvolti in difesa (non solo i lunghi, ma anche i vari Roberson e Durant) attestarsi oltre la linea dell'arco, concedendo qualcosa nella protezione del ferro.
Strategia che ha funzionato soprattutto nel secondo tempo di gara uno, ma che comunque sta costringendo l'MVP ad esplorare con maggiore continuità l'opzione della penetrazione, dove comunque i Thunder si affidano alla fisicità dei loro giocatori anche perimetrali (Andre Roberson su tutti) per evitare di subire comodi lay-up. Una tattica simile è stata adottata con l'altro Splash Brother Klay Thompson, mandato dentro con buona frequenza per impedirgli di trovare ritmo nel tiro da tre punti. Questo il piano iniziale di Donovan (e non solo il suo, dato che si tratta di una situazione tutt'altro che inedita per Curry e compagni). Difficile la sua esecuzione, o meglio, legata ad almeno due variabili: la prima è che OKC non incappi in palle perse banali con Westbrook e Durant, scatenando il contropiede avversario, con i difficilissimi accoppiamenti in transizione che ne derivano (emblematici da questo punto di vista i due minuti di gara 2 in cui Steph ha messo a referto i quindici punti che hanno spaccato la partita). La seconda riguarda la capacità dello stesso Curry di prendersi tiri da tre da nove metri con un lungo addosso (accaduto anche con Kanter in gara uno): in quel caso non c'è strategia che paghi (come sottolineato da Popovich in stagione regolare, che sia da due, da tre o persino da quattro punti, si può solo sperare che sbagli). Insomma, quei tre-quattro minuti di onnipotenza dell'MVP che in genere abbattono difese e tifosi avversari. Ultimo accorgimento per Donovan e i suoi difensori il lavoro sui blocchi: imperativo non tagliarli ma passare dietro, per evitare di subire tre punti semi-automatici.