Un uomo al comando di un esercito che spinge sull'orlo del precipizio una delle favorite alla conquista della vittoria finale. L'eroe che si mette in gioco da subito, mostrandosi volenteroso di trascinare i propri compagni verso l'impresa. E Oklahoma City, a quell'impresa, non ci è mai stata così vicina. La vittoria per 95-91 in casa dei San Antonio Spurs vale più di un semplice punto nel computo totale, che vede ora i Thunder avanti 3-2: è una ottenuta su un campo violato solamente due volte nelle 45 gare precedenti, in gara-2 sempre da OKC e a fine stagione da Golden State, e che costringe i texani, messi con le spalle al muro, ad affrontare una gara-6 da dentro-o-fuori nell'inferno della Chesapeake Energy Arena.

Il protagonista della gara, manco a dirlo, veste la canotta col numero zero. Uno che divide: o lo si ama o lo si odia. La versione di Russell Westbrook di ieri sera è però difficile da odiare. Il fattore R numero uno stavolta si fa sentire. Lasciando perdere i numeri (quasi tripla doppia, per la cronaca), è il peso delle giocate quello che conta. Nel momento chiave della gara, il quarto quarto, Russ si è caricato di responsabilità e soprattutto non ha deluso le aspettative, a differenza di quanto accade spesso in quelle circostanze in cui viene definito come un giocatore "senza la testa". Un pizzico di follia, forse anche qualcosa in più, unito al talento. I suoi punti sono solamente uno degli aspetti che ieri sera hanno permesso a OKC di conquistare la vittoria.

Si ritorna, infatti, a un discorso trito e ritrito ma che non si è ancora esaurito: il dominio sotto le plance. 54 rimbalzi Thunder, 36 Spurs. Fattore R numero due. La fisicità di Steven Adams ed Enes Kanter sta regalando gioie a Donovan, complice anche la posizione di Ibaka, meno in mezzo all'area e più aperto per sfruttare l'ottimo tiro, portando di fatto un lungo avversario fuori dal pitturato e permettendo ai due centri di vincere spesso e volentieri la lotta contro il diretto marcatore. Date le caratteristiche dei lunghi degli Spurs, due colossi come il neozelandese e il turco hanno vita molto facile nel duello individuale, tant'è che è spesso stato Kawhi Leonard a farsi vedere a rimbalzo per risollevare le sorti dei suoi. Per non parlare, di nuovo, della cavalletta Westbrook.

Aggressività sotto canestro in entrambe le metà campo che viene corrisposta, nella fase difensiva, a un'intensità che raramente si era vista. Pochissimi tiri facili per gli uomini di Popovich, il quale ha quasi dovuto di fatto togliere il pick&roll centrale per iniziare l'azione dal proprio playbook. La fatica nel costruire buoni tiri e nel movimento di palla è stata evidente, spesso e volentieri Leonard e Parker hanno risolto con iniziative personali, mentre LaMarcus Aldridge, non-fattore A numero uno, è rimasto estremamente sotto tono, chiudendo con un misero 6/21 dal campo e una serie di errori, risultati poi chiave nel computo finale. Una questione più mentale che meramente tecnica, quella riguardante l'ex Blazers, chiamato ora a una prestazione maiuscola in gara-6, sperando per San Antonio non sia troppo tardi.

Rispetto a gara-4, è risorto Danny Green dalle ceneri con un 6/8 da tre che avrebbe dovuto rappresentare in teoria l'arma in più degli Spurs, essendo la guardia da UNC reduce da un misero 0/1 nell'episodio precedente. Difficile chiedergli di più, su entrambi i lati del campo, così come a Kawhi Leonard, ma anche ai West, ai Diaw, ai Ginobili. Forse un contributo maggiore in attacco da parte di Parker è lecito aspettarselo, ma i falli l'hanno condizionato enormemente. San Antonio ha però bisogno dei suoi strappi, della sua velocità e delle sue incursioni. Quello che resta da salvare è ancora una volta il rendimento della difesa, capace di forzare 20 palle perse agli avversari (8 del solo Westbrook), ma senza capitalizzare, perdendo nettamente la lotta a rimbalzo.

In vista di gara-6 è anche difficile pensare ad aggiustamenti significativi, non-fattore A numero 2: si potrebbero azzardare alcuni minuti per Marjanovic per provare a compensare la fisicità di Adams, oppure l'inserimento di Kevin Martin in quei minuti di sterilità offensiva che puntualmente si presentano ogni qualvolta San Antonio si trova in vantaggio di qualche punto. Forse, per quest'ultima, è anche una questione di risparmio di energie, ma contro questi Thunder non possono essere ammessi cali, né di concentrazione né fisici. Si parla comunque di piccoli dettagli che potrebbero anche rivelarsi inutili ai fini della serie. In gara-6 conterà soprattutto il fattore V, la volontà di vincere. Certo, nell'inferno di Oklahoma City la favorita è chiaramente la squadra di casa. E San Antonio ha bisogno, sintetizzando di un solo fattore per riuscire a sistemare le cose: il fattore N, come nasty.