“Dovresti ritirarti, è arrivato il momento!” è la frase che Dwyane Wade è stato costretto a sentire ripetutamente alle sue spalle nella Time Warner Cable Arena di Charlotte, durante gara-6 della serie contro gli Hornets. Merito – si fa per dire - del dubbio gusto di un tifoso (oltreoceano già ribattezzato Purple Shirt Dude per la sua camicia viola) che dalla prima fila non ha fatto altro che provocare la bandiera degli Heat. “Stava lì, dicendomi che devo ritirarmi. Ed io rispondevo ‘non ancora’ ma lui continuava. Comunque, non voglio dargli più attenzioni”. Questa la risposta del numero tre a mezzo stampa, ma quella più importante è arrivata sul parquet: Flash ha rispolverato tutto il repertorio per mettere a segno 23 punti e trascinare i suoi alla decisiva gara-7, tra le mura amiche dell’American Airlines Center.

Un vero e proprio capolavoro quello di Wade, che con i dieci punti nel quarto quarto e una stoppata fantascientifica sullo scatenato Kemba Walker (per lui saranno invece 37 alla sirena, originati da qualsiasi tipo di azione offensiva umanamente possibile) ha aiutato i suoi ad accaparrarsi un’elimination-game – gli Heat erano sotto 3-2 dopo aver perso gara-5 in casa - che rischiava di far crollare quanto di buono costruito in regular season. Il prodotto di Marquette University ha messo le scarpe da ballo a tre minuti dal termine della partita, infilando la prima tripla del suo anno solare (dopo un 7/44 in regular season!) per salire a nove punti di vantaggio sul 90-81. Ma la vera spallata alla partita è arrivata con la seconda bomba, infilata con 1:01 sul cronometro, a cui è seguito il timeout (obbligato) Hornets, ed il cinque battuto all’amico e difensore NFL Julius Peppers, sotto gli occhi di Allen Iverson, appostato in seconda fila. Infine, è arrivata la stoppata da dietro sul tentativo di layup di Kemba Walker, firma sul definitivo 98-90.

Dell’exploit dall’arco ha parlato anche Coach Erik Spoelstra, intervistato dopo il match: “Ho visto abbastanza da Dwyane in questi anni per sapere che sono solo giocate vincenti, possono venire in qualsiasi modo. Nascono dal suo grande senso di competizione, che lo spinge a tirare fuori il meglio. Lavora sui tiri dall’arco di continuo, semplicemente non ne tira in partita. Ma quando ce n’è più bisogno…”. Sorpresi invece sono stati i suoi compagni, come ad esempio il rookie Josh Richardson: “Ero scioccato perché non tira molte triple, quindi quando ho visto il tiro ho pensato ‘oh, cavolo’. Poi la palla è entrata, ed il pensiero è cambiato in ‘si, andiamo’. In questi momenti, con Dwyane Wade, a fine partita, non dovresti sorprenderti di niente”.

Non è la prima volta che Dwyane Wade illumina col suo talento la postseason degli Heat, ma è la prima in cui è quasi costretto ad essere l’unico leader. Nonostante ottimi gregari come Dragic e Johnson e promesse di livello (Winslow, Whiteside), a Miami latita una vera stella accanto a DW3, come furono ai tempi Shaquille O’Neal (2006) e LeBron James (2011-2014) nelle altre cavalcate in post-season. Dopo tredici stagioni in NBA Wade si ritrova così solo al comando della truppa di Erik Spoelstra, ma la sensazione è che sia tutto tranne che spaventato. “Mi fido dei miei compagni e li amo, ma se proprio dovevamo perdere, volevo farlo tirando e giocandomi le mie chance” sono state le sue parole nel post per spiegare il 10/20 dal campo, che è stato condito da 6 rimbalzi, 4 assist, 3 stoppate e 2 palle rubate. “A questo punto della mia carriera, gioco per momenti come questo. È ciò che ti fa sentire vivo”.

Non solo nei numeri: la leadership di Wade può essere letta anche attraverso i suoi compagni: in attacco, la sua aggressività ha permesso a Luol Deng di iniziare caldissimo, infilando 11 dei suoi 21 totali nel primo quarto; ma la stessa spinta contagiosa, sotto l’altro tabellone, è stata una delle fonti delle tre stoppate di Hassan Whiteside (a dire il vero già per conto suo un luminare in materia). Oltre al già citato senso di competizione, altra spinta per lo sprint del numero tre era quella di giocare davanti agli occhi di quattro Hall of Famers (il freschissimo Allen Iverson oltre a Jordan, Riley e Mourning), ma soprattutto la voglia di rivincita, come dichiarato dallo stesso Wade ad ESPN.com: “Vi ricordate la partita contro Charlotte a Marzo?”, il chiaro riferimento è alla sconfitta casalinga del 17 di quel mese, quando Spoelstra, sotto 109-106 a pochi secondi dal termine, durante l’ultimo timeout scelse proprio il suo capitano come destinatario del pallone che avrebbe dovuto portare il match all’overtime. Risultato? Tripla sbagliata dalla destra, partita persa e valanga di critiche al Coach. “Quando ho tirato quella tripla, tutti quanti hanno detto che non dovevo tirarla io. Vi ricordate? Io si. Tutti pensano che non io non possa tirarle. Ci ho pensato a lungo”. Insomma gli attributi, in casa Wade, non mancano.