Forse aveva ragione Doc Rivers quando, a inizio stagione, parlava della fortuna dei Golden State Warriors, scatenando polemiche con i rivali della Baia. Fortunati i rivali di Division, perchè si erano potuti permettere una post-season immune da guai fisici, terminata con il trionfo alla Quicken Loans Arena di Cleveland. A distanza di qualche mese, quel termine - fortuna - evidentemente ritenuto elemento caratterizzante l'intera storia della franchigia, torna a far capolino per delineare le sorti dei Los Angeles Clippers. Fuori al primo turno di playoffs, rimontati per il secondo anno consecutivo (nel 2015 sul 3-1 da Houston, oggi sul 2-0 da Portland), Steve Ballmer e i suoi maledicono il destino cinico e baro, quello che li ha privati in un sol colpo di Chris Paul (frattura alla mano destra) e di Blake Griffin (lesione muscolare al quadricipiete sinistro).
Un doppio gancio che ha mandato al tappeto Lob City, abituata a volare sopra il ferro e ora definitivamente knock out al sesto round della serie con i Trail Blazers, le vittime sacrificali ribellatesi a un verdetto sfavorevole. E dire che i tifosi dei Clippers già pregustavano un secondo turno di playoffs (quasi) alla pari con gli acerrimi nemici dei Warriors, privati anch'essi di Stephen Curry, scivolato sul parquet del Toyota Center quasi per una sorta di punizione divina per tanta arroganza tecnica. E invece anche stavolta gli angeleni sono riusciti a fare meglio (o peggio, se preferite), andando incontro a un clamoroso doppio infortunio che ne ha azzoppato le chances di avanzare ad Ovest. D'altronde, segnali inquietanti si erano avuti già durante la stagione regolare: Griffin, che viaggiava con medie sontuose per i primi due mesi, va k.o. il giorno di Natale per un problema muscolare. Non soddisfatto, il buon Blake decide di complicarsi la vita inscenando una scazzottata con un magazziniere della squadra, finendo per rompersi la mano, con conseguente lunga convalescenza e sanzioni accessorie. Senza il loro numero trentadue, i Clips riescono ad aprire meglio il campo in attacco, con Jordan unico lungo e quattro esterni, guidati magistralmente da Chris Paul. Arrivano quarti nel selvaggio West e sembrano pronti per tentare il grande assalto - forse l'ultimo di questa loro versione - ai playoffs Nba, per il riscatto del clamoroso harakiri dello scorso anno. Il resto è invece storia recente, che parla di un'altra eliminazione prematura e di un presente triste, preludio a un futuro nebuloso.
Già. Perchè, come se non bastasse doversi leccare le ferite (e non in senso metaforico, per il povero Austin Rivers) per una serie maledetta, i Clippers devono ora pensare alla prossima stagione, pianificare, decidere cosa fare di un roster competitivo, ma mai andato oltre le colonne d'Ercole del secondo turno. DeAndre Jordan ha il contratto in scadenza nel 2018, dunque dovrebbe rimanere al suo posto a meno che non si trovi qualcuno disposto ad accollarsi il suo faraonico ingaggio in una trade al momento improbabile. Diversa invece la situazione che lega Paul e Griffin: entrambi andranno in scadenza nel 2017, con la possibilità concreta di esercitare la player option prevista in loro favore e di divenire così free agents. Una prospettiva inquietante per Doc Rivers, che dovrà scegliere quale strategia attuare soprattutto con la sua ala grande, la cui avventura nella franchigia di Steve Ballmer sembra essere ai titoli di coda. Gli altri componenti del roster potrebbero cercar fortuna - è il caso di dirlo - altrove. Crawford, Green e Mbah a Moutè saranno liberi a partire dal 30 giugno, mentre Rivers, Aldrich e Johnson usciranno dal contratto per sondare il mercato. Paul Pierce ha invece dichiarato di stare pensando al ritiro (fallimentare la sua esperienza nella natia Los Angeles), esattamente come l'altro veterano Pablo Prigioni. Un gruppo che si reggeva grazie allo stimolo di realizzare sogni di titolo è dunque vicino alla decomposizione, in pieno stile Clippers, una franchigia costretta a ripartire ancora una volta dopo l'ennesima disavventura della sua storia.