Dal campo alla panchina. Luke Walton brucia le tappe e la concorrenza, spietata, di numerosi colleghi che ambivano alla panchina dei Los Angeles Lakers: sarà il figlio di Bill, dunque, a sostituire l'ingombrante vuoto lasciato da Byron Scott sulla panchina dei gialloviola, raccogliendo l'eredità pesantissima di allenare una delle due franchigie più vincenti della storia del basket statunitense. Dai titoli conquistati sul parquet dello Staples Center accanto a Kobe Bryant all'onere ed all'onore di intraprendere un viaggio stracolmo di insidie e di pressione nell'intento di ricostruire i Lakers del futuro dalla panchina e dalle fondamenta, per riportarli ai fasti, vincenti, di un tempo.
Niente Messina, dunque. Niente Blatt, Van Gundy e tanti altri. Alla fine la spunta chi, come ha sempre detto Kobe Bryant, "è un Laker". La scelta di Mitch Kupchak ha sorpreso tutti, non per il nome scelto, bensì per la celerità dell'annuncio, che nei giorni scorsi era stato rimandato ai primi di luglio. La necessità del General Manager dei Lakers è quella di affidarsi a chi, oltre a conoscere a menadito l'ambiente e la città, possa incarnare lo spirito rinascente della franchigia gloriosa ma ferita, punita giustamente nei risultati con le due peggiori stagioni della storia a causa di una pessima programmazione e per delle scelte a dir poco scellerate.
Sebbene si tratti del primo incarico ufficiale da capo allenatore, gli anni di apprendistato di Walton ai Golden State Warriors fungono da curriculum vitae in suo favore: le due stagioni come assistente di Steve Kerr, con annesso titolo di campione conquistato lo scorso anno, gli permetteranno di avere già le spalle già discretamente forti per presentarsi alla nuova sfida. La prima parte di stagione, nella quale ha sostituito più che degnamente l'ex guardia dei Bulls come Head Coach, gli ha fatto capire cosa significhi possedere le chiavi e la regia di una squadra, consentendogli di arrivare a Los Angeles non più vergine a questi palcoscenici e a queste pressioni.
I dubbi, non relativi alle qualità tecniche del trentaseienne di San Diego, risiedono tuttavia nella capacità di creare un sistema di gioco del tutto nuovo e valido da cucire addosso ai giocatori che avrà a disposizione, oltre a calarsi al meglio nella rovente realtà losangelina, reduce da anni di cocenti delusioni sportive e manageriali. Importantissimo, in tal senso, sarà avere le spalle forti ed avere ferma convinzione dei propri mezzi e delle proprie idee. Tuttavia, gran parte del merito del successo di Walton come allenatore dei Lakers sarà affidato alla dirigenza, che dovrà fungere da parafulmine nelle difficoltà, fisiologiche, di inizio gestione. Altrettanto decisiva sarà, ai fini della tranquillità mentale dell'ambiente e dello staff tecnico, l'eventuale presenza alle sue spalle di Phil Jackson (ex allenatore di Walton proprio ai Lakers), che potrebbe fungere da mentore e da burattinaio dalle retrovie.
Insomma, i Lakers ripartono e lo fanno con Luke Walton al timone. Imperativo rifondare una squadra dalle fondamenta e riportarla, con costrutto e programmazione, alle vette che le competono. Alla dirigenza ed all'ambiente di Los Angeles la bravura nel saper aspettare e condividere un progetto che, a lungo raggio, potrebbe risultare finalmente e nuovamente vincente.