Lunedì sera, dopo un accenno di riscaldamento prima di gara-2 della prima serie Playoffs 2016, contro i Rockets, Stephen Curry è rientrato negli spogliatoi, tornando in campo solo in abito elegante per sostenere i compagni, annunciando che i problemi alla caviglia rimediati nell'episodio precedente, sabato, non gli avrebbero permesso di scendere in campo. Nonostante questo, i suoi Golden State Warriors hanno dimostrato la solita capacità di rispondere alle difficoltà soprattutto in attacco, portando comunque a casa la vittoria per 115-106. Andiamo a vedere come gli uomini di Kerr si sono adattati senza la propria stella.
Senza Curry da fronteggiare sui cambi, Bickerstaff ha scelto di iniziare la partita con i “classici” due lunghi: Motiejunas e Howard. In gara-1, invece, era stato Trevor Ariza ad “adattarsi” come 4 dinamico. Questo “nuovo” vestito, in ogni caso, è sembrato calzare a Houston meglio della small-ball con Corey Brewer, ma è comunque da collaudare quando davanti si avrà anche l'MVP in carica. Allo stesso tempo, però, Golden State è riuscita a difendere con più intensità dentro e fuori dal pitturato, facendo consumare molte energie agli avversari persino sui mismatch favorevoli.
Altro fattore che non ha fatto rimpiangere Curry è stato il suo splash brother: Klay Thompson, 34 per lui con 8/20 dal campo, 3/8 dall'arco. Il prodotto di Washington State, con più spazi e palloni giocabili rispetto alla norma, ha trovato ben 13 penetrazioni, record personale in stagione, che gli hanno permesso di mettere a referto uno splendido 15/16 dalla lunetta, facendo impazzire in particolare Micheal Beasley e Corey Brewer. Stesso discorso per James Harden, da sempre appassionato di viaggi al tiro libero e specialista nel settore, che ha trovato le mani degli avversari molto più spesso rispetto a gara-1: 13/15 il suo contatore con 28 punti e 11 assist totali.
Altra mancanza (parzialmente) coperta sono stati i tiri da tre: oltre al già citato Thompson, particolarmente inspirato in uscita dalla panchina è stato Andre Iguodala. Tutti a bersaglio i primi quattro tiri dalla lunga distanza tra primo e secondo quarto (eccezion fatta per la preghiera a tutto campo sulla sirena) per l'ex-Nugget, che ha terminato con 4/6 da tre, 18 punti ed un ottimo 70% di realizzazioni dal campo (7/10) in trentadue minuti di parquet. Niente a che vedere con i surreali undici canestri da tre su sedici tentativi di Curry, ma comunque un ottimo contributo. Buone percentuali anche per Houston, che nonostante il 6/11 da tre all'intervallo – saranno 10/25 all'ultima sirena – ha terminato il primo tempo sotto 66-58. Solo 1/8 da dove conta di più per Harden, parzialmente coperto dal 6/8 sommato della strana coppia Jason Terry-Josh Smith.
I sostenitori dell'inutilità di una partita senza Steph obietteranno ora con un'antitesi quasi sempre vincente: se non c'è lui, manca l'imprevedibilità del genio. Sul genio non si discute, ma una buona dose di imprevedibilità è stata consegnata ai posteri da Marreese Speights alla fine del terzo quarto. Dopo una stoppata ed un tiro pesantemente contestato da Harden, l'ex-Cleveland si è svegliato dal torpore, uscendo dalla "comfort zone" e piazzando uno step-back a segno in faccia a Clint Capela, ma soprattutto recapitando a destinazione una tripla dall'angolo originata dall'ottima circolazione, che gli ha regalato il boato assordante della Oracle Arena.