E dire che la stagione ufficiale dei Chicago Bulls era cominciata con una vittoria contro i vicecampioni Nba, i Cleveland Cavaliers di quel LeBron James stoppato nel finale della partita inaugurale da Pau Gasol. Quasi un segnale, un auspicio per una regular season da condurre fianco a fianco alla miglior squadra della Eastern Conference. Nulla di tutto questo è invece accaduto per la franchigia della Windy City, che per uno scherzo del destino ha giocato la sua ultima gara con un qualche significato ancora contro i Cavs allo United Center, vincendola nuovamente in un'appassionante volata finale. In mezzo, una stagione contraddistinta da molte contraddizioni, troppi infortuni e una mancanza di identità che ha impedito al nuovo allenatore Fred Hoiberg di condurre la squadra ai playoff, da dove i Bulls mancheranno per la prima volta dal lontano 2008.
In un anno in cui l'Est si è dimostrato particolarmente equilibrato, i Bulls si sono sfaldati alle prime difficoltà, alle prese con gravi problemi di alchimia tecnica e umana. La transizione dal gioco di Tom Thibodeau, imperniato su una difesa organizzatissima e inappuntabile, a quello dell'esordiente Fred Hoiberg (catapultato in panchina dalla collegiale Iowa State) si è fermata a metà del guado. L'idea iniziale di praticare una pallacanestro diversa, che prevedesse un attacco meno scolastico e più tiri nei primi secondi dell'azione, si è dovuta scontrare con le caratteristiche dei singoli giocatori e con i problemi fisici di Derrick Rose. A completare l'opera ci ha pensato l'esplosione di Jimmy Butler, d'un tratto apparso il leader di un gruppo dove invece ognuno sembrava andare per conto suo. Di screzi tra Butler e Rose, e tra Butler e il suo allenatore, si è parlato fin troppo, al punto che il sospetto che qualcosa non funzionasse nello spogliatoio dello United Center è stato legittimo fin da subito, da quando il giocatore da Marquette ha cominciato a sparare a palle incatenate su tecnico e playmaker. Eppure la questione, che raccoglie in sè parte del problema, non lo esaurisce, perchè la Chicago vista quest'anno ha dovuto fare i conti anche e soprattutto con problemi di campo. Joakim Noah, uomo chiave nella precedente gestione tecnica, è stato prima accantonato e poi perso definitivamente per un grave infortunio alla spalla. Non ha avuto continuità nemmeno Nikola Mirotic, partner designato di Pau Gasol, costretto a operarsi d'appendicite nel momento cruciale della stagione. E che dire di Derrick Rose, la cui presenza in campo è stata condita da esitazioni di troppo e performances condizionate dai precedenti infortuni alle ginocchia.
In questo contesto, i Bulls sono andati incontro a un naufragio inesorabile, colati a picco nella più totale confusione tecnica e di leadership. La buona stagione giocata da Doug McDermott non è di certo bastata per cambiare un destino fallimentare. E proprio da un'approfondita analisi del roster dovrà ripartire il duo Paxson-Forman, lo scorso anno artefici del cambiamento in panchina e ora chiamati a scelte forse dolorose ma necessarie. Pau Gasol ha già fatto sapere che eserciterà la player option prevista in suo favore, ma ha anche precisato che Chicago sarebbe la sua prima scelta se ci fossero condizioni tecniche conformi alle sue prospettive. Il catalano ha sfornato una stagione sorprendente per un centro della sua età e - come rivelato da Chris Broussard per Espn - si guarderà intorno per capire quali franchigie gli daranno maggiori garanzie di lottare per il titolo prima di comunicare la sua decisione alla dirigenza. Il capitolo Derrick Rose è se posssibile ancor più spinoso: l'MVP della regular season 2011 ha percepito quest'anno oltre venti milioni di dollari di stipendio, ma a ventisette anni sembra già una stella cadente dell'èlite Nba. Ecco perchè anche un intoccabile come il figlio di Chicago potrebbe essere inserito in qualche trade che scoinvolga il roster dei Bulls, per dare una scossa all'ambiente e far ripartire un giocatore con il quale il feeling si è perso da tempo.
Chi ha invece appena rinnovato il suo rapporto contrattuale con la franchigia è Jimmy Butler (16 milioni a salire dalla stagione in corso), apparentemente leader del futuro dei nuovi Bulls, a meno che qualche frizione con il resto dello spogliatoio non induca il frontoffice a metterlo sul mercato (ipotesi al momento non supportata dai fatti). Paxson e Forman vorrebbero trattenere Noah, che però viene dato per titubante nel rifirmare un nuovo contratto con Chicago, anche per via di un rapporto di fiducia mai instauratosi con Fred Hoiberg. Proprio Hoiberg è l'ultimo tassello di un mosaico tutto da sistemare: fortemente voluto per il dopo Thibodeau, all'esordio da allenatore Nba, non ha convinto soprattutto a livello di personalità, ma l'impressione è che si ripartirà ancora da lui per costruire le fondamenta della squadra che verrà, di una squadra che mai come adesso è all'anno zero. Rivoluzione sembra la parola che i tifosi dei Bulls vorrebbero sentire, anche se non basterà compilare liste di proscrizione per riportare Chicago ai fasti di un tempo.