La sconfitta subita contro gli Orlando Magic ha lasciato il segno. Non solo perchè ora i Chicago Bulls sono ancor più lontani dall'ottavo posto a Est, obiettivo minimo per una squadra partita con ambizioni da titolo, ma anche perchè ha reso manifesto quanto sia pesante l'aria che si respira nello spogliatoio dello United Center. Già un veterano come Taj Gibson aveva cercato di scuotere il gruppo dopo il doppio k.o. contro i New York Knicks, dichiarando che la situazione era inaccettabile e che non si poteva continuare a perdere da "trash teams", squadre spazzatura, proprio per sottolineare il livello delle prestazioni dei ragazzi della Windy City.

Secondo quanto riportato da Espn, ieri, al ritorno dalla trasferta di Orlando, ci sarebbe stato un confronto schietto tra staff tecnico e giocatori, con Fred Hoiberg da una parte e il resto dello spogliatoio dall'altra. "Ci è servito per far venir fuori alcune cose", il commento laconico dell'allenatore dei Bulls, a un passo dal fallimento nel suo primo anno da neofita delle panchine Nba. Che il record di Chicago (36 gare vinte e altrettante perse) non possa dipendere solo dagli infortuni è sensazione ormai condivisa dagli addetti ai lavori, certi che dietro i risultati disastrosi di questa stagione non ci siano solo i problemi fisici che hanno colpito a rotazione tutti membri del roster, da Joakim Noah (spalla) a Derrick Rose (fastidi muscolari assortiti), da Pau Gasol a Jimmy Butler (ginocchio), passando per Nikola Mirotic (appendicite). Senza dubbio i numerosi guai che hanno letteralmente azzoppato i Bulls nel momento chiave della stagione non hanno aiutato Hoiberg nel suo lavoro, ma la squadra non ha mai dato l'impresssione di avere una sua identità tecnica ed emotiva, al contrario di quanto accaduto nel quinquennio di Tom Thibodeau, quando una feroce applicazione difensiva consentiva ai Tori di sopperire ad assenze illustri e di superare di voglia e orgoglio anche un turno di playoff come quello del 2013 (come dimenticare il gesto di Marco Belinelli in gara 7 della serie contro i Brooklyn Nets). 

Ora quello spirito non c'è più, anche perchè nel frattempo sono cambiati alcuni giocatori. Da Joakim Noah a Pau Gasol nel ruolo di centro, con i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono per quanto riguarda attitudine e tecnica, per non parlare di McDermott, Mirotic e Snell, tutti ragazzi dal talento superiore alla media, ma non ancora in grado di trascinare una squadra in difficoltà. Chi invece prova a fare da trait d'union tra i vecchi e i nuovi Bulls è l'esperto Mike Dunleavy, mancato a lungo in questa regular season travagliata sulle sponde del lago Michigan: "Ci sono molti problemi da risolvere - le sue parole riportate ancora da Espn - mi piacerebbe poter dire che c'è solo una cosa che non va e che va messa a posto, ma non è questo il caso. Stiamo sbagliando praticamente tutto. Non è solo una questione di intensità e impegno, ma anche di esecuzione e disciplina sul campo. Quindi non posso stare qui a dire cosa ci sia di preciso che non va, o che semplicemente non stiamo giocando con la giusta durezza. Dobbiamo migliorare sotto ogni punto di vista, questa settimana sarà una settimana da dentro o fuori (do or die week, nel gergo Nba).

Chicago è infatti attesa da due gare particolarmente complicate che, se perse, segnerebbero il destino della franchigia per questa stagione. Questa notte allo United Center arrivano infatti i temibili Atlanta Hawks, reduci da dieci vittorie nelle ultime dodici gare, mentre il giorno dopo la squadra volerà a Indianapolis per affrontare i sempre ostici Pacers. Nelle prossime quarantott'ore se ne saprà dunque di più della sorte dei Bulls, a un passo da una svolta impronosticabile solo pochi mesi fa.