Tutte le preoccupazioni di questi giorni sono diventate dure realtà: Chandler Parsons starà lontano dai campi NBA per il resto della stagione. Causa dello stop è l'infortunio rimediato lo scorso 18 marzo nella sfida ai Golden State Warriors, in cui si è fermato anche Andrew Bogut. Parsons è stato costretto a lasciare il campo nel terzo periodo, ma solo durante gli esami dei giorni successivi ci si è resi conto dell'entità del danno, e stamattina è arrivata la tegola: problemi al del menisco destro, già microfratturato (ed operato) lo scorso anno dopo i Playoffs, seconda operazione in artroscopia programmata e stagione finita.

Il guaio non dovrebbe interessare la cartilagine (come successo per il precedente), ma è comunque da trattare con le pinze per il ventottenne, che fa proprio dell'atletismo uno dei suoi punti di forza. Senza contare le imprevedibili reazioni a cui potrebbe essere soggetta un'articolazione per definizione estremamente stressata, che dovrà subire il secondo intervento chirurgico nel giro di un anno.

Parsons molla i suoi nel bel mezzo della corsa Playoffs: i Dallas Mavericks sono sì ottavi, e virtualmente sarebbero al primo turno contro i Cavaliers di LeBron James, ma sentono rombare forte il motore dei sorprendenti Utah Jazz, distanti solo una vittoria a dodici partite dalla fine della Regular Season, che assegnerà i posti in tabellone per la fase ad eliminazione diretta primaverile.
E non solo: lo stop arriva alla vigilia dell'ultima stagione di contratto vincolato per il prodotto di Florida State, mentre si vocifera di franchigie pronte – Dallas in primis – a tutto per fargli indossare la propria canotta.

Dal punto di vista di Rick Carlisle, la stiuazione si fa spinosa e va ad accorciare una rotazione già molto ridotta. Così, sarà il resto del reparto lunghi a coprire 29.5 minuti e (si spera) i 13.7 punti a partita lasciati in eredità dall'ex-Rocket. Anche se, considerando l'età di "Wunder"Dirk Nowitzki (autore di uno splendido quarantello nella sfida ai Blazers), mettere minuti extra sulle gambe già provate da un'intera stagione potrebbe essere un boomerang pesantissimo tra qualche settimana, quando la palla a spicchi peserà davvero. Poca sicurezza dà anche l'inesperto Mehjri, che però ha dimostrato interessanti margini di miglioramento al fianco di Zaza Pachulia. Punto fermo invece è rappresentato dal campione in carica David Lee, sempre utile nei discorsi di rotazione se non addirittura come titolare accanto a Nowitzki al fine di occupare con continuità ed efficacia l'area - e, perchè no, il mid-range – in attacco. Alternativa più estrema e curiosa, ma proprio per questo più affascinante, è quella di esagerare la small-ball con Deron Williams, Wesley Matthews, Raymond Felton e Justin Anderson (sostanzialmente quattro guardie) assieme ad un lungo ad ampio raggio come potrebbe essere lo stesso Nowitzki. Ma la sensazione è che questa composizione possa funzionare solo per brevi periodi, come break estremo per cercare un punto di svolta nella partita.
In questo momento, con sole dodici sfide da giocare e i Jazz a distanza minima, per difendere l'ultimo slot valido per i playoffs ad Ovest i texani dovranno sudare: date le rotazioni ridotte, ogni rischio potrebbe essere quello vincente o quello fatale. La patata bollente passa a Rick Carlisle ed al suo staff.