Ventisette vittorie e venticinque sconfitte. E' questo il record dei Chicago Bulls alla pausa per l'All-Star Game di Toronto, magro bottino per una squadra che si accreditava come contender a inizio stagione e che ora rischia addirittura un posto ai playoff nella Eastern Conference. L'ultimo k.o., allo United Center contro gli Atlanta Hawks, altro gruppo che non sta vivendo un momento esaltante, ha fatto suonare tutti i campanelli d'allarme possibili nel frontoffice della Windy City.
Il cambio della guardia in panchina, con l'esordiente Fred Hoiberg a rimpiazzare il sergente di ferro Tom Thibodeau, non ha prodotto gli effetti sperati, nè dal punto di vista dei risultati nè da quello dell'identità di squadra. I Bulls di metà febbraio sono infatti una squadra non riconoscibile per un gioco facilmente individuabile e che non spicca nemmeno per durezza mentale. Nella metà campo offensiva Chicago ha provato a far propri i dettami del suo allenatore, che avrebbe voluto un'esecuzione meno scolastica e qualche variazione in più sul tema dei palloni ai lunghi e delle - sporadiche peraltro - incursioni al ferro di Derrick Rose. Ne è derivata - per ora, è sempre il caso di ribadirlo - una pallacanestro ibrida, in cui si nota la voglia di attaccare più spesso nei primi secondi dall'azione, ma allo stesso tempo non si può non rilevare la difficoltà nel muovere velocemente la palla. L'esplosione di Jimmy Butler, già eccellente difensore da almeno un paio di stagioni, ha complicato l'assunto: divenuto un realizzatore con percentuali e numeri da All-Star, Butler è ora uomo da isolamenti, che spesso fruttano punti e canestri, ma che rallentano parecchio l'evoluzione di un sistema abbondantemente incompiuto. Nel reparto esterni segnali di risveglio sono giunti nell'ultimo mese da Derrick Rose, apparso in più occasioni in recupero atletico, ma ancora molto altalenante nelle sue accelerazioni ed estremamente ondivago con il tiro in sospensione, non solo quello da tre (che prende con sempre minor frequenza).
Rimane poi la difficoltà di individuare un quintetto titolare. Al netto degli infortuni (che hanno messo k.o. sia Noah, fuori per tutta la stagione, che Mirotic, che rientrerà dopo la sosta), la posizione di numero tre non ha ancora trovato un padrone. E' finalmente tornato Mike Dunleavy, ma il figlio dell'allenatore non dà ancora garanzie dal punto di visto atletico, mentre gli esperimenti Snell e McDermott hanno funzionato in modo altalenante, nonostante il giovane Doug rimanga una delle note liete della regular season dei tori. Tra i lunghi, dopo aver sfogliato per un bel po' la margherita, Hoiberg si è ritrovato con i soli Pau Gasol e Taj Gibson a disposizione e con il rookie Bobby Portis in uscita dalla panchina. Tutti questi stravolgimenti dovuti principalmente a infortuni o a recuperi da lunghi stop non hanno agevolato il lavoro del coach da Iowa State, costretto a barcamenarsi in mezzo alle esigenze di un roster mai al completo per essere davvero rivoluzionato. Se però negli anni passati Chicago aveva la sua ancora di salvezza nei consolidati meccanismi difensivi di Thibodeau, con Hoiberg sono invece spariti anche quelli, anche per l'assenza di giocatori in grado di fare la differenza nella propria metà campo. Pau Gasol rimane un fenomenale uomo da doppia doppia e un buon stoppatore in alcune situazione, ma non è quel leader emotivo (e neppure tecnico, difensivamente parlando) che era rappresentato allo United Center da Joakim Noah, vero pilastro su cui si sono fondate le fortune dei Bulls dell'ultimo lustro.
A rendere la situazione ancora più complessa ci sono infine altri due fattori. Il rapporto, non facilmente decrittabile, tra Hoiberg e il suo spogliatoio, e le difficoltà nel modificare in corsa un roster stravolto dagli infortuni. Lo stesso Noah sarebbe stato una pedina di scambio importante per costruire un gruppo diverso, più adatto alle esigenze del nuovo tecnico, ma il suo k.o. alla spalla ha costretto Paxson a rimandare i piani di un'eventuale cessione. Discorso simile può essere fatto per Mirotic, in difficoltà per tutta la stagione e ora oggetto di dubbi e ripensamenti da parte della franchigia. In questo contesto, con Butler incedibile (fuori causa anche lui per un mese per infortunio al ginocchio) e Rose ancora intoccabile, ecco che il duo formato da Paxson e Forman potrebbe pensare, come riportato nei giorni scorsi da Nick Friedell per Espn, a inserire Pau Gasol in una trade con un'altra squadra da titolo, anche perchè il catalano è in scadenza di contratto a giugno e ha già reso nota la sua intenzione di non rinnovare sulle rive del lago Michigan. La deadline del 18 febbraio è ormai sempre più vicina, e alla sua scadenza si saprà verosimilmente qualcosa in più sul futuro dei Bulls.