In una splendida e vastissima intervista al Washington Post, la guardia titolare dei Golden State Warriors campioni in carica, Klay Thompson, si è confidata a trecentosessanta gradi sulla sua vita e sull'universo NBA dentro e fuori dal campo.
Primo significativo passaggio è quello che riguarda lo straordinario inizio di stagione dei Warriors, che, dopo aver vinto le prime 24 (VENTIQUATTRO) partite prima di perdere contro Milwaukee, ora viaggiano spediti con un record di 35-2.
"Abbiamo molti ragazzi affamati in squadra, ma abbiamo anche veterani, professionisti veri, da cui ho imparato molto. Ci impegnamo tutti a partire dal leader, Steph [Curry, ndr], e a motivarci ancora di più c'è il fatto che dopo il titolo dello scorso anno molti non ci ritenevano capaci di mantenere quel livello. E invece siamo qui, non ci accontentiamo di vincerne solo una".
Altro argomento toccato è stato quello del peso del record, o meglio di come ogni squadra dia sempre il 150% contro i Warriors. Thompson non è sembrato affatto preoccupato: "Fa bene. Onestamente, ci fa bene. Ci tiene sul filo, non ci fa compiacere di noi stessi. Ci fa bene, ci fa migliorare continuamente, il fatto che ogni squadra giochi all'ultimo sangue contro di noi. Nella postseason tutte le partite saranno così, ergo è una buona preparazione".
Successivamente, il prodotto di Washington State ha eletto a miglior momento della sua carriera ("ovviamente escludendo la vittoria del campionato") il terzo quarto da trentasette punti contro Sacramento lo scorso anno, in cui Thompson ha firmato il record assoluto di punti in un quarto NBA, tirando 13/13 dal campo e 9/9 da tre in una partita che poi terminerà a quota 52. "È stato incredibile. Ancora non riesco a crederci. Ero così a mio agio. Riguardandolo ora dico 'ehi, se sono riuscito a fare quello posso diventare ancora meglio se continuo a lavorare duro cercando di capire meglio il gioco". Anche se pare lo capisca già bene, il gioco: 60% di percentuale reale al tiro, 20 di net rating e 11% di assist totali della sua squadra con lui in campo.
Spaziando più al generale, Klay ha parlato anche del rapporto col padre Mychal, bahamense prima scelta assoluta del Draft 1978 e due volte campione NBA con i Los Angeles Lakers. "Mi ha trasmesso la passione per il gioco. Amo questo gioco, solo grazie a lui. Lo guardavo di continuo da ragazzo, mio padre ama questo sport ancora molto. Mi ha messo in mano una palla da bambino e mi ha insegnato tutti i fondamentali. Palleggiare e passare, già da bambino. Gli devo tantissimo".
Ripercorrendo gli anni a ritroso, Thompson ha parlato del momento in cui ha scelto il basket come principale sport su cui concentrarsi ("fino all'anno da sophomore dell'high school giocavo anche a football come quaterback e a baseball, in tutte le posizioni. Mi divertivo davvero molto"): "Non ho scelto in un momento preciso... nel mio anno da junior [alla Santa Margarita High School, ndr] ho semplicemente scelto di concentrarmi sul basket perché vedevo ampi margini di miglioramento e capivo di poter ottenere una borsa di studio per il college. Non pensavo minimamente alla NBA, solo al college. Continuavo a lavorare e pensavo solo alla borsa di studio".
KT è anche tornato sul Draft NBA, ricordando tutte le aspettative prima della notte più importante per tutti i giocatori del campionato NCAA: "Mi aspettavo di essere chiamato nella prima metà del primo giro. In realtà nella mia testa pensavo ad una chiamata nelle prime cinque, ma bisogna sempre essere realistici con se stessi. Onestamente ero convinto di finire a Milwaukee. Avevano bisogno di un esterno e mi dissero che gli piacevo davvero molto. Ma poi scambiarono la loro scelta [numero 10, ndr] ed entrai nel panico, diventai nervoso. Per fortuna sono stato preso da Golden State subito dopo".
L'intervista è poi terminata con un momento di riflessione in coda su Jerry West, campione NBA coi Lakers e Olimpico a Roma nel 1960, sette volte campione NBA come General Manager dei Lakers nonché Mr.Logo della lega (si, è proprio lui) e mentore di Thompson al suo arrivo nella lega: "È assurdo come sia riuscito a rimanere nell'ambiente per tutto questo tempo. Quando ho saputo che Jerry era interessato a me, è stata una grande carica di autostima. Ha visto così tanti giocatori, ha draftato Kobe, ha vinto tantissimi titoli. Ha una conoscenza così profonda del gioco, che il fatto che abbia visto in me qualcosa di speciale mi riempie di orgoglio".