Sicuramente la storia di Jimmy Butler, sopprannominato "il Maggiordomo" per il significato del suo cognome, è uno dei racconti più strappalacrime, ma lui non vuole assolutamente che la gente lo ammiri o lo rispetti solo per i suoi toccanti eventi (assunto testimoniato anche dalla sua riservatezza).
Butler raccontò se stesso per la prima volta in un'intervista per ESPN a Chad Ford, dicendo prima: "So che pubblicherai la mia storia. L’unica cosa che ti chiedo è di non scrivere in maniera tale che le persone si sentano in colpa e provino compassione per me. Non lo sopporto, non c’è niente di cui dispiacersi. Queste difficoltà mi hanno reso l’uomo che sono".
Un ragazzo che è riuscito a ritagliarsi il suo spazio in una lega con giocatori che amano stare sotto i riflettori, grazie a umiltà e fame, doti che gli hanno permesso di diventare il giocatore che ammiriamo oggi. Butler nasce a Houston in una delle tante famiglie a pezzi, all'età di 10 anni venne perso per strada dal padre, mentre 3 anni dopo la madre lo cacciò di casa perchè non sopportava il suo taglio di capelli. Il giovane ragazzo ha vissuto letteralmente sotto i ponti per parecchio tempo fino a quando non venne accolto da una famiglia.
Il basket in questi anni tormentati ha rappresentato per Jimmy Butler un'àncora di salvezza. Dopo il penultimo anno di high School, partecipò ad una summer league in Texas, senza riscuotere consensi in nessuna università. Incontrò però l'amico della vita, tale Jordan Leslie, anche lui di Tomball. Prima due tiri a canestro, poi qualche pasto condiviso. La madre di Leslie, Michelle Lambert, prese a cuore la storia di Jimmy e nonostante 7 figli da sfamare aprì le porte di casa a questo ragazzone dal volto triste, a patto che facesse da tutor per i 7 bambini.
Nell'anno da senior viaggiò a media di 21 punti e rimbalzi, ma le offerte importanti non arrivarono, nonostante venne nominato nel quintetto All American. Scelse Marquette, anche se l'anno da sophomore non andò alla grande anche per il non ottimo rapporto con il coach. Jimmy era intenzionato ad abbandonare tutto, ma intervenne la signora Lambert che lo convinse a non mollare. Come si dice in questi casi, la pazienza paga e l'anno dopo realizzo' 16 punti di media e raccolse 6 rimbalzi a partita e finalmente venne notato dagli scout NBA.
Arrivò il draft NBA, proprio all'ultima chiamata, la numero 30, venne scelto Butler e da lì iniziò la sua scalata ricca anche di un premio come Most Improved Player, sublimata dalla prestazione di ieri sera, 40 punti nel secondo tempo, 14/19 dal campo, 2/3 da tre, 10/11 dalla lunetta.
Ora Chicago è la sua squadra, con Rose sempre fermo è lui il vero leader, probabilmente qualche posizione in più rispetto alla 30 se la merita il Maggiordomo e aver superato il record di chi di quella squadra fu il precursore è un grande passo.