L'umiliante sconfitta patita sabato pomeriggio dai Los Angeles Lakers sul campo degli Oklahoma City Thunder continua a far discutere anche a 48 ore di distanza. I gialloviola, orfani di Kobe Bryant (out per il riacutizzarsi del dolore alla spalla operata), sono andati incontro a un rovescio pesantissimo, che ha spiegato i suoi effetti ben oltre i quaranta punti di scarto tra le due squadre. La sensazione di totale anarchia tecnica ed emotiva percepita sul parquet della Chesapeake Energy Arena ha lasciato sconcertati i tifosi gialloviola, già delusi dal peggior inizio di stagione della storia della franchigia. Bassissima, quasi nulla, l'intensità difensiva, con autostrade verso il ferro concesse a Kevin Durant e a Russell Westbrook. Totale improvvisazione dall'altra parte del campo, con Nick Young a tirare qualsiasi pallone gli capitasse tra le mani. Sono solo alcune delle note tecniche di un match che non ha avuto storia, ma che non può essere accettato sotto la dizione "lavori in corso" dal popolo dei Lakers. 

La qualità media della squadra è ormai nota a tutti, e testimoniata dalle sole tre vittorie ottenute in quasi due mesi di regular season (peggio ha fatto solo Philadelphia, che in compenso si è aggiudicata lo scontro diretto), ma l'atteggiamento e il modo di stare di campo sono addirittura più scadenti rispetto al talento complessivo dei gialloviola. Ed è qui che entra in gioco coach Byron Scott, ultimamente lestissimo nel presentarsi davanti a taccuini e microfoni - per la fortuna dei giornalisti al seguito dei Lakers - con dichiarazioni spesso sorprendenti. L'ultima uscita di Scott si è registrata proprio al termine della sfida con i Thunder: "Oggi i ragazzi sembravano spaventati e addirittura intimiditi da Westbrook e Durant - l'affondo del coach - hanno giocato malissimo, anzi sono stati davvero imbarazzanti per il modo in cui  sono stati in campo. Come ho già detto loro, sono stati patetici in ogni settore del gioco. Non siamo stati in grado di competere e Oklahoma City ha giocato in maniera più dura rispetto a noi. I nostri giovani sono stati davvero in soggezione contro i Thunder". Un atteggiamento, quello di Scott, già riscontrato in altre occasioni, un modo di miscelare bastone e carota che in questo momento sta alimentando più confusione che certezze. Al di là dell'aspetto tecnico, di cui Scott è direttamente responsabile per il ruolo ricoperto, ciò che sorprende e l'assenza di un prospettiva chiara e lineare in direzione della quale far crescere i giovani Lakers, da D'Angelo Russell a Julius Randle, da Jordan Clarkson a Larry Nance, passando per quell'Anthony Brown inserito in quintetto per Kobe e ridicolizzato da Durant.

Stavolta non è però tardata ad arrivare la reazione dei due principali destinatari delle invettive di Scott, Russell e Randle. La seconda scelta dell'ultimo Nba Draft ha così commentato le parole del suo allenatore: "Posso parlare solo per me stesso, ma assicuro che di certo non sono sceso in campo spaventato", la replica laconica ma chiara del dicianovenne D'Angelo. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il compagno Julius Randle: "Non abbiamo giocato di squadra, non ci abbiamo messo energia, ma non eravamo spaventati". La sensazione è che Scott abbia voluto attribuire all'inesperienza e alla soggezione dei suoi giovanissimi l'ennesima brutta sconfitta della sua gestione. Eppure sarebbe nei suoi interessi provare a lavorare in maggiore sintonia con giocatori che rappresentano il futuro della franchigia, sinora sballottati a destra e a manca sul campo senza un'idea chiara di pallacanestro, prima fatti partire come titolari e poi relegati al rango di panchinari, quasi a sottolinearne le attuali mancanze. Uno sbandamento continuo che non può che nuocere a giovani talenti che avrebbero bisogno di essere guidati da un vero e proprio maestro per poter esprimere tutto il proprio potenziale e mostrare così di essere all'altezza della maglia che indossano.