"Non credo sia basket. Penso sia più una specie di gioco da circo. A questo punto perché non mettere anche un tiro da cinque punti? O da sette? Ma forse sarò io che sono della vecchia scuola". Firmato Gregg Popovich. Che parlerà pure poco, ma quando lo fa lascia il segno.

Stavolta il più classico de "la tocco piano" aveva un destinatario preciso: i Golden State Warrios e il loro sistema tutto small ball e run and gun. Principi di gioco mutuati da quel Mike D'Antoni con il quale ci si saluta appena dai tempi della serie contro i Suns caratterizzata dal caso Horry-Nash. Ma coach Pop è uno in grado di prevedere (e, di conseguenza, evitare) una tempesta non appena si profila all'orizzonte. Affrettandosi, quindi, ad aggiungere: "A un certo punto, o lo si accetta o si comincerà a perdere. E ogni volta che abbiamo vinto un titolo, il tiro da tre è stata una componente fondamentale. Perché è molto importante e dobbiamo saper tirare da lontano. E nessuno lo fa meglio di Golden State; non è un caso che siano dove sono. Quindi è importante ed è un aspetto che non si può tralasciare".

Excusatio non petita accusatio manifesta, solevano dire i latini. Ma qui, più che di accuse vere o presunte, si tratta semplicemente di qualcosa di diverso. Qualcosa con cui nella Baia dovranno imparare a convivere, ammesso che non lo stiano già facendo. E' il destino dei più forti: più arrivi in altro, più fatica farai a rimanerci, più avversari e terzi (apparentemente) disinteressati faranno di tutto per sminuire i tuoi meriti. Nell'attesa della caduta più o meno fragorosa. Con i social che fanno da imponente e non sempre gradevole cassa di risonanza.

Aveva cominciato Charles Barkley con il suo famoso "jump shooting team" rivolto ai Kerr boyz, salvo poi pagare pegno con una classe che in molti faticavano a riconoscergli:

E' stato poi il turno di Hakeem Olajuwon, il giorno in cui i Warriors superarono i suoi Rockets versione 1994/1995 come miglior partenza di sempre per una squadra campione in carica: "Non vedo cosa ci sia di rivoluzionario nella loro pallacanestro. Lo 'small ball' era una cosa che facevano anche quando li allenava Donn Nelson".

Sa invece di rosicata latente il commento del mai banale Dennis Rodman a chi avesse avuto l'ardire di chiedergli se considerasse in pericoloso il famigerato 72-10 dei suoi Bulls 1995/1996: "Potranno anche eguagliarci o superarci, non importa: noi l'abbiamo fatto prima".

Last but not least il Chauncey Billups di qualche giorno fa: "I Warriors reggeranno al massimo altre due settimane e poi crolleranno. Anzi secondo me la prima partita che perderanno sarà contro i Cavaliers a Natale".

In altri ambiti, qualcuno avrebbe già iniziato ad invocare il "rumore dei nemici" di mourinhana memoria. A queste latitudini, invece, queste provocazioni (perché tali sono, inutile girarci intorno) costituiscono il vero banco di prova della solidità mentale di Curry & co. Unitamente a come verrà assorbita quella prima sconfitta che, presto o tardi arriverà. Il classico rovescio della medaglia dell'essere la squadra che sta (ri)scrivendo i libri di storia della pallacanestro: inutile aspettarsi adesso i complimenti da parte di chi non ha ancora trovato contromisure credibili ad un sistema apparentemente inattaccabile. saranno i posteri, infatti, a certificare la grandezza cui tutti noi abbiamo la fortuna di assistere.

Per il momento non resta che proseguire su una strada già tracciata: giocare e vincere alla propria maniera, contro tutto e contro tutti. E' il prezzo da pagare per essere i più forti. E siamo sicuri che dalle parti dell'Oracle Arena continueranno a pagarlo con piacere.