È successo. Sì. Sapevamo tutti sarebbe arrivato questo momento.
Nessuno avrebbe mai voluto affrontarlo.
Tutti lo sapevamo, come quando a scuola rimanevi solo tu nella lista delle persone da interrogare, ma pregavi comunque con tutto te stesso che la prof chiamasse qualcun altro o che scattasse l’allarme anti-incendio proprio in quel momento.
Ognuno di noi, in casa sua, continuava a vedere quel ventiquattro giallo-viola comparire sempre più raramente sui parquet NBA, ma nelle nostre speranze questo momento sarebbe arrivato sempre in un futuro remoto. E’ invece è qui.
Kobe Bryant ha detto basta. Questa sarà la sua ultima stagione in NBA. Con la canotta dei Los Angeles Lakers, inutile sottolinearlo.

La comunicazione è arrivata nella notte italiana al sito The Players’ Tribune, allegata ad una commovente lettera d’amore dello stesso Black Mamba diretta al gioco della pallacanestro. L’unica cosa che, umilmente, possiamo fare, è leggerla e rileggerla in silenzio e proporvela in versione integrale.

“ Dear Basketball,

From the moment
I started rolling my dad’s tube socks
And shooting imaginary
Game-winning shots
In the Great Western Forum
I knew one thing was real:

I fell in love with you.

A love so deep I gave you my all —
From my mind & body
To my spirit & soul.

As a six-year-old boy
Deeply in love with you
I never saw the end of the tunnel.
I only saw myself
Running out of one.

And so I ran.
I ran up and down every court
After every loose ball for you.
You asked for my hustle
I gave you my heart
Because it came with so much more.

I played through the sweat and hurt
Not because challenge called me
But because YOU called me.
I did everything for YOU
Because that’s what you do
When someone makes you feel as
Alive as you’ve made me feel.

You gave a six-year-old boy his Laker dream
And I’ll always love you for it.
But I can’t love you obsessively for much longer.
This season is all I have left to give.
My heart can take the pounding
My mind can handle the grind
But my body knows it’s time to say goodbye.

And that’s OK.
I’m ready to let you go.
I want you to know now
So we both can savor every moment we have left together.
The good and the bad.
We have given each other
All that we have. 

And we both know, no matter what I do next
I’ll always be that kid
With the rolled up socks
Garbage can in the corner
:05 seconds on the clock
Ball in my hands.
5 … 4 … 3 … 2 … 1

Love you always,
Kobe
"

“ Cara Pallacanestro,

dal momento
in cui ho indossato i calzettoni di mio papà
e immaginavo di realizzare canestri vincenti
nel Great Western Forum
sapevo che una cosa era reale:

mi ero innamorato di te.

Un amore così profondo
che ti ho dato tutto me stesso
dalla mia mente e dal mio corpo
al mio spirito ed alla mia anima.

Da bambino di 6 anni
 profondamente innamorato di te
 non ho mai visto la fine del tunnel.
 Vedevo solo me stesso
correrne fuori.

E così ho corso.
 Ho corso su è giù per ogni campo,
dopo ogni palla persa per te.
Mi hai chiesto di battermi.
Io ti ho dato il cuore
perché tu sei arrivata a darmi tanto altro.

Ho giocato nella gioia e nel dolore.
Non perché la sfida mi chiamava,
ma perché a chiamarmi eri TU.
Ho fatto tutto per TE.
 Perché questo è quello che fai
quando qualcuno ti fa sentire così
vivo come tu hai mi hai fatto sentire.

Tu hai dato a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker.
E ti amerò per sempre per questo.
Ma non posso amarti ossessivamente ancora per molto.
Questa stagione è tutto quello che mi rimane da dare.
Il mio cuore può reggere il colpo,
la mia mente può gestire lo sforzo,
ma il mio corpo sa che è tempo di dire addio.

E questo è OK.
Sono pronto per lasciarti andare.
Voglio che tu lo sappia ora,
così possiamo assaporare ogni momento che ci rimane assieme.
 I belli ed i cattivi.
Ci siamo concessi l’un l’altro
tutto quello che avevamo.

Ed entrambi lo sappiamo. Non importa cosa farò dopo,
sarò sempre quel bambino
con i calzettoni alzati,
il cestino nell’angolo:
 5 secondi sul cronometro,
palla tra le mani
5… 4… 3… 2… 1. 

Ti amerò sempre,
Kobe

La sensazione è che qualsiasi parola che dovesse seguire queste sarebbe terribilmente inadatta. La leggenda di Kobe Bryant da Philadelphia, Pennsylvania è sotto i nostri occhi ogni giorno. E’ una leggenda che va oltre il reale. Va oltre i numeri, le decine di milioni di canotte vendute col suo nome, le milleduecentonovantatré (and counting) partite giocate in NBA, le interviste, le parole, le urla. Va oltre gli ottantuno punti di quella folle partita contro i Raptors, oltre i trentaduemila punti in carriera, oltre le venti stagioni con la stessa canotta, oltre i due ori olimpici, oltre i cinque anelli NBA, oltre le diciassette convocazioni per l’All-Star Game, oltre l’MVP, oltre il Kobe-to-Shaq, oltre il trash talking, oltre gli undicimilatrecentottantotto tiri dal campo segnati, oltre i seimilacentosessantasei assist serviti, oltre MJ, oltre le triple triple, oltre i tiri alieni a qualsiasi essere umano.
Se è possibile andare oltre tutto questo, è lì che si trova la leggenda di Bryant. Bryant è stato per anni, semplicemente, l’NBA. Se non l’intero movimento cestistico internazionale.  Più di un simbolo, più di un mito: l’esempio miracoloso di passione, duro lavoro e talento sovrannaturale uniti nella stessa persona. Ha preso un modo di fare pallacanestro e ne ha rotto tutti gli schemi, migliorandosi costantemente. Bryant è nell’olimpo dello sport  e vi rimarrà per sempre. Ma soprattutto rimarrà nei cuori dei tifosi dei Lakers, in quelli degli appassionati di basket, e di tutti gli sportivi in genere. Nei cuori di chiunque abbia avuto la fortuna di vedere i suoi piedi sfrecciare su un qualsiasi parquet.
Ma più di ogni altra cosa, la leggenda di Kobe Bryant rimarrà nelle mani di un qualsiasi bambino
con i calzettoni alzati
il cestino nell’angolo
cinque secondi sul cronometro,
palla tra le mani.
5… 4… 3… 2… 1…

Grazie non sarà mai abbastanza,
ti ameremo sempre,

Kobe.