Forse per spiegare l'impatto di Andre Drummond in questa stagione Nba basterebbero le parole del suo compagno di squadra Reggie Jackson: "Non ho paura di attaccare il ferro prendendo il centro dell'area: tanto, se sbaglio, ci pensa il mio amico". Dettaglio che può tornare buono soprattutto nelle serate in cui all'ex Thunder non entrerà tutto, ma proprio tutto tutto, come nell'ultima partita contro i malcapitati Trail Blazers (dove, per la cronaca ha scritto 40, con 26 nel quarto quarto, di cui 16 consecutivi).
Ma se, appunto, la prestazione di Jackson ruba l'occhio dell'osservatore meno addentro, quella del centrone da Mount Vernon rischia seriamente di riscrivere i canoni moderni del giochino inventato dal professor Naismith. Per i meno informati, nella corsarata dei Detroit Pistons al 'Moda Center', Drummond ha fatto segnare l'ennesima doppia doppia imperiale di questa prima parte di regular season: 29 punti e 27 rimbalzi (si, VENTINOVE e VENTISETTE), con i quali si attesta a quota 20.3 in entrambe le categorie. Numeri che provengono da un'altra era: precisamente dal 1970/1971 quando fu Wilt Chamberlain a far registrare cifre simili dopo le prime sei partite stagionali. Con Drummond che va a fare compagnia a 'The Big Dipper' e a Kareem Abdul Jabbar anche per quanto riguarda il numero di gare iniziali con almeno 20 punti e altrettanti rimbalzi: sei, appunto. Da allora si è trattato di vette mai più toccate da altro essere umano: almeno fino a questa notte.
Un record significativo, soprattutto perché ottenuto in una Nba profondamente diversa da quella in cui dominavano i due ex Lakers. Allora, infatti, certi numeri potevano essere quasi considerati 'normali': il 60% della produzione offensiva delle squadre era di pertinenza dei lunghi e di Bill Russell in grado di reggere (e vincere) il confronto con questi talenti mostruosi dal punto di vista tecnico e fisico ce n'era uno solo e vestiva la maglia dei Celtics. La situazione cominciò a cambiare a cavallo tra gli anni '80 e '90: con l'arrivo di playmaker di oltre due metri (Magic Johnson), PF in grado di tirare dal palleggio come e meglio di una guardia (Larry Bird) e SG in grado di dominare lo spazio aereo con un atletismo senza eguali (Michael Jordan), i lunghi cominciarono a 'specializzarsi' nell'arte del gioco in post. Con un inevitabile abbassamento delle percentuali realizzative, se è vero, come è vero, che anche i grandi tiratori dal post basso (Karl Malone e Hakeem Olajuwon, tanto per fare i nomi di due cattedratici della materia) non andavano oltre il 45% dal campo e che anche uno Shaq nel pieno delle sue facoltà faticava a mettere insieme le cifre riportate poco sopra. Una tendenza che è andata accentuandosi con il tempo, con l'idea che si potesse segnare solo con i centri che appariva superata dal gioco: anzi i pivot della nuova generazione hanno dovuto aggiornare ulteriormente il proprio bagaglio tecnico di base, aggiungendovi (o, quanto meno, provando a farlo) un piazzato affidabile dalla media-lunga distanza. Con la controindicazione che non tutti possono contare sulla pulizia di tiro e sulle doti (comunque affinate nel tempo) di un Dirk Nowitzki o di un Pau Gasol e la diretta conseguenza di un ruolo la cui importanza si esprimeve essenzialmente nella metà campo difensiva.
Drummond, o almeno QUESTO Drummond, è l'eccezione che conferma la regola. Non tanto dal punto di vista difensivo perchè, tra rimbalzi e stoppate, le statistiche sono state sempre ottime fin dall'anno da rookie, quanto piuttosto per un'efficacia offensiva a tratti misteriosa e che non sembrava essere nelle corde dell'ex Huskie. Che continua ad essere cestisticamente tronco e rivedibile per quanto riguarda la tecnica spalle a canestro, risultando tuttavia devastante quando riesce ad esprimere appieno una fisicità deboprdante. Cosa che, con la partenza del 'gemello diverso' Greg Monroe (con il quale era costretto a condividere minutaggio e spazio nel pitturato) verso altri lidi, gli sta riuscendo con continuità. Qualcuno già si affanna, supportato da numeri comunque inequivocabili, a sostenere come lui e il già citato Jackson siano una delle migliori coppie di pick and roll dell'intera lega. Se non la migliore. Con Van Gundy gongolante che ha piacevolmente riscoperto il noto brocardo dell'asse play-pivot: cosa che non gli capitava dai tempi dei Magic con Dwight Howard e Jameer Nelson.
Discorsi che lasciano il tempo che trovano, soprattutto se si considera che il nostro ha appena 22 anni. E il fatto che si sia appena iniziato a grattare la superficie di ciò che Drummond potrebbe essere, è spavento. Per gli avversari, ovviamente.