La voce soffusa e lo sguardo spento, perso nel vuoto, celano una impareggiabile delusione, che dai tratti sportivi sembra arrivare a toccare toccare quelle corde che fino ad oggi, al campione Kobe Bryant, non erano mai state nemmeno sfiorate. L'inevitabile ed inesorabile pensiero dell'addio unite all'insoddisfazione delle prime prove disputate, sia dal punto di vista squisitamente tecnico che da quello fisico, si sono tradotte, una volta intervistato al termine della sfida contro i Mavericks di ieri sera, in una struggente intervista. 

Un asciugamano attorno al collo, le braccia quasi conserte, la postura che richiama alla caduta e non il solito petto messo all'infuori per ostentare una sicurezza nei propri mezzi che oramai sembra definitivamente abbandonarlo. Il Bryant visto nel post-gara della sfida che i Lakers hanno perso contro Dallas, che ha sancito la terza sconfitta consecutiva ed il peggiore inizio di sempre della franchigia californiana, è inquietamente atipico, oltremodo remissivo, completamente smarrito dinanzi ad una verità che forse ha tardato fin troppo ad essere riconosciuta. 

E' difficile, quasi impossibile, per un Campione di questo calibro guardare in faccia la realtà delle cose ed ammettere il fisiologico crollo, soprattutto dal punto di vista emotivo, al di là del responso del campo. Il Bryant visto fin qui, quantomeno in pre-stagione, era apparso voglioso e bramoso di tornare in campo per dimostrare ancora una volta di potercela fare, di essere eternamente giovane nel corpo come nella mente, ma le prime gare agonistiche sembrano averlo riportato alla realtà delle cose. Certamente i guai tattici e le infinite lacune di questi Los Angeles Lakers non hanno aiutato e contribuito a facilitare il compito del quasi quarantenne Kobe, ma nelle difficoltà di un canestro, nella impossibilità di paragonarsi ad alteti di ben altra generazione, soprattutto considerando il suo background fisico, si vede il progressivo ed incessante crollo di un mito. 

"I’m the 200th best player in the league right now. I freaking suck". 

Non servono ulteriori parole per spiegare lo stato d'animo incredibilmente ferito del ventiquattro. Tuttavia, anche nel riconoscere la sconfitta, la personalità del leader esce alla distanza, cercando di regalare un barlume di speranza ai giovani ragazzi che gli stanno attorno. Bryant assume i tratti di un Mourinho d'annata accollandosi tutte le responsabilità e le colpe dello sfacelo gialloviola.