Che l'affaire DeAndre Jordan avrebbe potuto costituire un turning point sfavorevole per il mercato dei Dallas Mavericks lo si era intuito al momento del gran rifiuto del figliol prodigo DeAndre, tornato ai Clippers dopo aver sedotto e abbandonato la franchigia texana. Ma che gli uomini di Mark Cuban e Rick Carsisle potessero trovarsi in condizioni di emergenza estrema alle porte della regular season, era eventualità non presa in considerazione nemmeno tra i più pessimisti dalle parti dell'American Airlines Center.
Alla delusione per un affare di mercato sfumato - che ha costretto il frontoffice dei Mavs a ripiegare frettolosamente su altri nomi meno altisonanti, come quelli di JaVale McGee e del georgiano Pachulia - si sono infatti aggiunti nel corso del mese di settembre i problemi fisici che continuano ad affliggere Chandler Parsons, Wesley Matthews e Deron Williams. Proprio quest'ultimo, arrivato in Texas con qualche anno di ritardo rispetto al corteggiamento datato epoca Utah Jazz, rimane uno degli interrogativi più grossi che aleggiano intorno alla stagione di Dallas. La sua propensione agli infortuni (guai alle caviglie e altri insulti muscolari), unita a una discontinuità mentale prima ancora che tecnica, hanno fatto negli anni di D-Will un playmaker talentuoso ma incompiuto, sempre incapace di compiere quel salto di qualità che lo avrebbe proiettato nell'empireo delle migliori point guard della lega (èlite al momento particolarmente ben frequentata, se si pensa a chi ne fa parte: gente del calibro di Chris Paul, Russell Westbrook, Stepen Curry, Damian Lillard, Tony Parker, Derrick Rose e via discorrendo). Con un Williams attualmente più fuori che dentro alle rotazioni di coach Carsisle, toccherà verosimilmente al duo Devin Harris-Raymond Felton prendere in mano il lavoro di playmaking approntato dall'allenatore del titolo Nba 2011, unanimente considerato un maestro del gioco offensivo.
Ma non è Deron Williams a rappresentare l'unica spina nella rosa dei Mavs. Anche Chandler Parsons, divenuto improvvisamente uno dei leader dello spogliatoio di Dallas, è alle prese con un difficile recupero da un intervento chirurgico al ginocchio, un po' come un altro free agent sbarcato in estate, quel Wesley Matthews definito come fondamentale dal suo ex allenatore a Portland Terry Stotts, e ancora in fase riabilitativa dopo la rottura del tendine d'achille nello scorso inverno. E i guai non finiscono qui, in quanto c'è pure da fronteggiare il finale di carriera crepuscolare (pur sempre un gran spettacolo) di Dirk Nowitzki, uomo franchigia da un quindicennio, il ballerino tedesco che ha portato luce e successi nella Dallas versione Nba. E' in questo contesto che i Mavericks si accingono a iniziare la nuova stagione, in un clima da scenario post-atomico che non aiuta di certo una squadra che ha perso per strada una delle certezze dello scorso anno, rappresentata dal vivace e imprevedibile Monta Ellis, volato a Indianapolis dopo una chiusura consensuale delle sue pendenze con i texani. Per non parlare di Tyson Chandler, centro elogiato pubblicamente proprio da Carlise per il suo contributo fornito alla causa nel corso degli anni, ora stabilitosi nel deserto dell'Arizona alla corte dei Phoenix Suns. Ecco che, nello spazio di un'estate, Dallas si è ritrovata dall'essere un'autorevole contender per il titolo di campioni della Western Conference (e quindi con ambizioni per il Larry O'Brien Trophy), al rappresentare l'ultima speranza texana a Ovest dopo San Antonio e Houston.
Mark Cuban può però consolarsi ricordando il recente passato: solo quando i suoi Mavs sono partiti da underdog, outsider di lusso su cui però nessuno avrebbe puntato granchè, i bluhorses di Dallas hanno centrato exploit irripetibili, mentre il ruolo di favoriti ha spesso loro giocato brutti scherzi (ogni riferimento alla finale del 2006 contro Miami e al primo turno di playoff 2007 contro i Golden State Warriors dell'ex Don Nelson è puramente voluto).