La trasferta europea ha cementato un gruppo che fonti interne all'Nba già descrivevano come unito. Ora i Boston Celtics, rientrati negli States per disputare le ultime gare di preseason, si accingono a ripartire per un'altra stagione, a piccoli passi, verso la risalita definitiva. I playoff acciuffati in volata pochi mesi fa vengono visti come un punto di partenza, non d'arrivo, per una franchigia gloriosa che sta ricostruendo il proprio futuro dopo la fine dell'era dei Big Three (Kevin Garnett, Paul Pierce e Ray Allen, con Doc Rivers in panchina), che aveva fruttato ai Celtics un titolo Nba nel 2008 e un'altra apparizione alle Finals nel 2010, in una serie da antologia persa contro i Los Angeles Lakers. Partito anche Rajon Rondo, di quella Boston non è rimasto più nessuno, se non lo spirito. Ed è esattamente ciò che si augurano continui a vedersi nel gioco della squadra tifosi e dirigenti dei Celtics, alle prese con una traversata nel deserto da rendere il più breve possibile.

Chi sembra non aver bisogno di convincere ancora è il coach dei verdi di Boston, quel Brad Stevens sempre sotto la lente di ingrandimento della critica per la sua giovane età e l'esperienza esclusivamente collegiale che si portava in dote al suo esordio Nba. Dopo due stagioni da capo allenatore in Massachussetts, ora Stevens è un punto fermo nell'opera di rebuilding della franchigia cestistica più titolata d'America. Lo sottolinea anche Wyc Grousbeck, co-proprietario dei Celtics, parlando a Chris Forsberg di Espn: "Stevens sta facendo un ottimo lavoro - le parole di Grousbeck - negli anni ho visto ormai tantissime edizioni dei Celtics, e devo dire che l'ambiente di quest'anno è speciale. Sono tutti contenti di essere qui, e orgogliosi di far parte della nostra organizzazione. Il viaggio in Europa ci ha fatto bene, non abbiamo avuto le distrazioni che avremmo avuto qui negli States, come fidanzate, mogli, amici, famiglia e tutto il resto. Credo che Danny (Ainge, ndr) abbia scelto giocatori ideali per il nostro rebuilding. Penso ad Amir Johnson e David Lee, non divi del basket ma compagni di squadra altruisti. Mi riferisco anche ad Avery Bradley e a Marcus Smart, tutta gente che non sta a guardare le statistiche individuali. Ho avuto modo di stare con loro nell'ultimo viaggio, e confesso che si è trattato di una delle migliori settimane che abbia mai passato con la nostra squadra".

Quanto agli obiettivi stagionali, Grousbeck si mostra realista: "Mi aspetto che saremo competitivi e soprattutto non egoisti nel gioco. E' questo il Celtics Pride che vogliamo mantenere. Ma ciò non significa che saremo una contender per il titolo, almeno non ancora. Ma stiamo facendo un altro passo avanti, e siamo pronti a qualsiasi evenienza (il riferimento è a qualche futura trade, ndr). D'altronde, a giugno potremmo avere tre o quattro prime scelte al prossimo Draft per rendere più profondo il nostro roster. Stevens e Ainge stanno facendo le scelte corrette, prendere Thomas a febbraio è stato un colpo impagabile: mi avevano detto che con lui saremmo diventati una squadra migliore. Avevano ragione".

Da parte sua coach Stevens pensa solo a migliorare il gioco dei suoi Celtics. "Se muoviamo la palla diamo il meglio di noi stessi", il mantra del giovane allenatore, che con la sua tranquillità ha conquistato tutti. Il suo approccio a un basket di tipo collegiale, con principi di gioco tipici dell'NCAA e un roster senza vere superstar, aveva inizialmente disorientato tifosi e addetti ai lavori, ma adesso la strada intrapresa da Boston è ormai chiara a tutti: crescere come squadra e aggiungere pezzo dopo pezzo nuovi talenti, preferibilmente giovani, per poi inserirli in un sistema di gioco ben collaudato che possa dar frutti anche nel lungo periodo. Sono questi i nuovi Celtics, lontanissimi dalla attualmente dominante mentalità Nba per cui le grandi squadre si costruiscono nell'arco di un'estate acquisendo uno o due free agents di grido, ma sempre più convinti di essere a buon punto nella loro opera di ricostruzione della franchigia.