Prosegue oggi il viaggio di Vavel Italia alla scoperta delle squadre Nba in vista dell'inizio della regular season in programma per il 27 ottobre. Dopo aver analizzato i roster e le prospettive di Toronto, Milwaukee e Detroit, è ora il momento di dare uno sguardo a cosa attende tre delle franchigie più seguite dell'intero panorama Nba, come i Cleveland Cavaliers di LeBron James e compagni, i Chicago Bulls del nuovo corso targato Fred Hoiberg, e gli Indiana Pacers, reduci da una radicale ristrutturazione avvenuta nel corso dell'estate.
CLEVELAND CAVALIERS. Un unico obiettivo
Li avevamo lasciati sconsolati sul parquet della Quicken Loans Arena in gara 6 delle Nba Finals 2015, arresisi di fronte ai Golden State Warriors di Steve Kerr e Stephen Curry, cui LeBron James, da splendido uomo di sport, rendeva omaggio. Li ritroviamo con un roster pressochè identico a quello che aveva finito la scorsa stagione. Fatta eccezione per Tristan Thompson, ancora protagonista di una trattativa infinita con il general manager David Griffin, gli altri componenti della squadra dell'Ohio sono rimasti nella città del Lago Erie, da J.R. Smith a Kevin Love, da Matthew Dellavedova a Iman Shumpert, passando per lo stesso James, ultimo a rifirmare con i Cavs dopo aver esercitato la player option prevista in suo favore. Sulla panchina della Quicken Loans Arena ci sarà ancora David Blatt, criticatissimo e discusso quanto si vuole, ma comunque in grado di dare un gioco e un'identità a un gruppo di giocatori prima assemblato in tutta fretta nell'estate del 2014, poi rivoluzionato nell'inverno successivo. I nuovi arrivi sono stati relativamente pochi: Austin Daye, Richard Jefferson e Mo Williams i più significativi, sulla carta possibili elementi delle rotazioni di Blatt. Detto addio ai vari Mike Miller, Shawn Marion e Kendrick Perkins, i Cavs ripartono ancora una volta dagli infortuni. Kyrie Irving è alle prese con la lunga riabilitazione seguita al problema al ginocchio accusato durante le Finals, Iman Shumpert si è appena lesionato i legamenti del polso sinistro, e Kevin Love non ha al momento giocato neanche un minuto delle gare di preseason. Se a ciò si aggiunge l'incertezza sul futuro di Tristan Thompson, si capisce come il cartello "lavori in corso" sia ancora ben visibile ad Independence, nella facility di Cleveland. Rispetto alla scorsa stagione potrebbe rientrare invece sin dall'opening night Anderson Varejao, mentre il giovane Joel Harris potrebbe avere più spazio, quantomeno nelle prime settimane di regular season. La squadra rimane dunque tutta sulle possenti spalle di LeBron James, il giocatore più scrutinato dell'intera lega, colui il quale vanta cinque apparizioni consecutive alle Finals, con uno score di due vittorie e tre sconfitte (cui va aggiunta quella del 2007 contro gli Spurs). Il ritorno del Re a Cleveland ha fatto sì che l'unico obiettivo della franchigia divenisse esclusivamente quello di vincere il primo titolo Nba dei Cavs. James è ormai abituato alla pressione di dover vincere a ogni costo, obbligo derivante da un talento ineguagliabile per un atleta di quella prepotenza fisica. Coach Blatt dovrebbe arrivare nel tempo a schierare un quintetto con Irving da playmaker, Shumpert da guardia (ottimo difensore ma tiratore ondivago), LeBron da ala piccola (anche se parlare di ruoli con il nativo di Akron lascia il tempo che trova), uno tra Thompson e Love in ala grande, e Mozgov da centro. Dalla panchina usciranno i vari Smith, Dellavedova, Jones, Williams, Jefferson e Varejao, anche se l'idea di uno schieramento con LBJ da quattro potrebbe essere esplorata spesso nei finali di partita e soprattutto nei playoff, nella speranza che siano tutti a disposizione dell'allenatore nel momento decisivo della stagione. I Cavs non hanno dunque cambiato molto, e del resto è rimasto immutato anche il loro obiettivo stagionale: vincere una volta per tutte il titolo Nba, e spazzar via la maledizione che aleggia sulle squadre professionistiche di Cleveland.
CHICAGO BULLS. Un nuovo inizio
Via Tom Thibodeau, dentro Fred Hoiberg. Il cambio della guardia sulla panchina di Chicago, voluto dal duo Paxson-Forman è senza dubbio la novità di maggior rilievo di questa stagione dei Bulls, anch'essi poco rinnovati nel roster, ma profondamente diversi per mentalità e stato di forma dei giocatori. Dopo la sconfitta nel secondo turno di playoff contro i Cavs, la squadra della Windy City è chiamata a una stagione di riscatto e rilancio, con Derrick Rose finalmente atteso a una regular season integrale, da svolgere possibilmente senza fastidiosi stop and go. Il roster dei Bulls è di altissimo livello per gli standard della Eastern Conference, e la scossa rappresentata dall'arrivo di Fred Hoiberg sulla panchina dello United Center potrebbe essere il miglior stimolo per riportare la franchigia verso l'obiettivo costituito dall'accesso alle Nba Finals. Esonerato Thibodeau, è già possibile immaginare una Chicago meno scolastica nel gioco offensivo, e probabilmente anche meno preoccupata di sbagliare e di dover poi sottostare alle reprimende del proprio allenatore. Uno dei maggiori beneficiari del nuovo indirizzo tecnico sembra già essere Doug McDermott, giovane tiratore (ma non solo) praticamente mai utilizzato da Thibodeau, sempre propenso a fidarsi dell'usato sicuro, che è oggi incarnato da Pau Gasol. Il trentacinquenne catalano è reduce da un Europeo da annali, e la sua posizione al centro del sistema tecnico di Chicago non è in discussione, al punto che il sacrificato potrebbe essere alla lunga Joakim Noah, difficilmente presentabile con continuità insieme al maggiore dei fratelli Gasol. In quest'ottica dovrebbe crescere il minutaggio di Nikola Mirotic, al secondo anno di Nba, e ormai stabilmente centrato nel ruolo di ala grande, in un reparto completato da Taj Gibson, Nazr Mohammed e Bobby Portis. Gli esterni rimangono i giocatori più intriganti del roster dei Bulls. Dal rebus rappresentato da Derrick Rose (le sue prestazioni saranno oggetto di attenzione in ogni angolo della lega) alla stella emergente Jimmy Butler, passando per i comprimari di lusso Aaron Brooks e Kirk Hinrich, le guardie di Chicago decideranno verosimilmente le sorti di questa stagione nella Windy City. Troppo importante che Rose torni a livelli atletici e tecnici superiori a quelli mostrati nel finale dello scorso anno, e che Butler si integri nel nuovo sistema senza perdere le certezze acquisite nelle precedenti edizioni dei Bulls. Completa il roster una batteria di ali piccole di tutto rispetto, composta da Mike Dunleavy, dal già citato McDermott e da Tony Snell, senza dimenticare il jolly Etwaun Moore. Qualsiasi risultato inferiore alla finale di Conference rappresenterebbe una delusione per Chicago, chiamata in quell'eventualità a stravolgere il suo roster e le sue scelte per il futuro.
INDIANA PACERS. Una rivoluzione silenziosa
Dopo aver conteso per due annate consecutive (2013 e 2014) il titolo di campioni della Eastern Conference ai Miami Heat, gli Indiana Pacers hanno fallito l'appuntamento con i playoff della scorsa stagione, complice anche il grave infortunio subito da Paul George. Una volta compreso che il massimo era stato fatto, e che oltre i risultati già raggiunti sarebbe stato difficilissimo andare, il frontoffice della franchigia di Indianapolis ha deciso di cambiare praticamente tutto, smantellando una squadra "pesante", per certi versi tradizionale, in cui il ruolo dei due lunghi di riferimento (Roy Hibbert e David West, ma anche Luis Scola) era fondamentale negli equilibri tecnico-tattici, ricostruendo un roster sicuramente più agile, e dal maggior talento complessivo nel reparto esterni. Per i poco mediatici Pacers la rivoluzione estiva è passata quasi sotto silenzio, mentre sono state altre le franchigie a far rumore sul mercato nel contendersi questo o quel free agent. Ma anche Indiana si è data da fare acquisendo da Dallas Monta Ellis, dopo che quest'ultimo aveva risolto consensualmente le sue pendenze contrattuali ed economiche con i Mavs. Ad Ellis è stato garantito un ingaggio da oltre 10 milioni di dollari nella prima stagione, a conferma dell'importanza che Indiana attribuisce al ventinovenne ex Warriors nel suo sistema di gioco. E proprio ad un nuovo modo di stare in campo dovrà pensare il confermatissimo coach Frank Vogel, costretto a rivedere completamente movimenti difensivi e offensivi. Della vecchia edizione dei Pacers sono rimasti George Hill, che si alternerà tra il ruolo di shooting guard e quello di playmaker, Ian Mahinmi, chiamato a un salto di qualità notevole derivante da una diversa mole di responsabilità, e i per certi versi interscambiabili C.J. Miles, Rodney Stuckey e Solomon Hill. Proprio la posizione di point guard sembra essere quello meno coperta nel roster di Indiana: detto di George Hill, che in carriera non è mai stato un vero playmaker, rimane l'opzione Toney Douglas, anche se appare difficile che l'ex giocatore dei Knicks possa occupare con continuità un ruolo tanto importante per gli equilibri di squadra. Salutati Roy Hibbert, David West e Luis Scola, i Pacers proveranno a testare immediatamente il rookie Myles Turner da Texas, anche perchè l'arrivo di Jordan Hill dai Lakers non può rappresentare garanzia di affidabilità. Ed è in questo contesto tecnico che si inserisce anche la questione relativa al ruolo di Paul George, leader incontrastato di Indiana, che ha tuttavia già fatto sapere di non essere particolarmente intrigato dalla possibilità di giocare da numero quattro, preferendo piuttosto la sua consueta posizione da ala piccola, quella che d'altronde gli ha consentito di esplodere definitivamente a partire dal 2012 in poi. Un quintetto con Mahinmi, Turner, George, Ellis e Hill potrebbe diventare presto quello base di coach Vogel, che avrà in Chase Budinger e Lavoy Allen altri due giocatori di relativa esperienza da inserire nelle sue rotazioni. I cambiamenti radicali cui Indiana si è sottoposta potrebbero far diventare la stagione che sta per iniziare come un'annata di transizione, anche se l'obiettivo di centrare comunque i playoff nella non impossibile Eastern Conference non pare in fondo un miraggio così irraggiungibile.