Il dibattito è ormai aperto da qualche stagione. Alimentato in questa torrida estate Nba da scambi di vedute su Twitter tra Hassan Whiteside dei Miami Heat e Draymond Green dei Golden State Warriors, esso può riassumersi nell'alternativa tra Small Ball (l'equivalente del quintetto piccolo nel gergo italiano) e Twin Towers (doppio lungo al di qua dell'oceano). Difficile stabilire con esattezza quale dei due schieramenti procuri a chi lo adotta più vantaggi che svantaggi, troppe le variabili in gioco. Ma l'argomento scalda gli animi di tecnici, addetti ai lavori e appassionati, per non parlare degli stessi giocatori, come dimostrato dal botta e risposta Green-Whiteside.

In principio furono i Phoenix Suns di Mike D'Antoni, con il loro seven seconds or less (prendere un tiro nei primi secondi dell'azione offensiva) a rompere i canoni tradizionali dell'ortodossia Nba. Un superlativo Steve Nash in cabina di regia guidò quella Phoenix fino alle finali di Conference, in un sistema che prevedeva Stoudemire da lungo di riferimento, Boris Diaw nel ruolo di jolly e facilitatore, con una batteria di tiratori dal perimetro pronti a fare centro sugli assist del canadese. I concetti di gioco dei Suns versione 2005-2010 sono stati parzialmente ripresi dai freschi campioni Nba dei Golden State Warriors, il cui coach Steve Kerr conosce bene D'Antoni per averci lavorato fianco a fianco in quegli anni. La presenza nello staff tecnico della franchigia di Oakland di un uomo come Alvin Gentry, ora primo allenatore di New Orleans, ma già esponente di spicco di quella Phoenix, ha reso il parallelo ancor più suggestivo.

I Warriors sono dunque attualmente considerati da molti l'evoluzione spuria di Nash e compagni, in un sistema di gioco che miscela magistralmente brani di basket di estrazione diversa. Ecco perchè il paragone è evocativo, ma non del tutto appropriato. La Golden State di oggi ha normalizzato gli eccessi dei Suns, e dimostrato che essere aggressivi (e veloci) in attacco non significa necessariamente prendere un tiro da tre nei primi secondi dell'azione. La costruzione di un buon canestro deriva anche e soprattutto da circolazione di palla e movimento di uomini, posto che i giochi siano eseguiti come programmato. Ecco perchè quell'irripetibile versione di Phoenix non ha eguali nell'Nba di oggi, in cui invece imperversa la tendenza ad abbassare i quintetti per ottenere migliori spaziature e allargare le difese avversarie. E' ciò che accade ad esempio ai San Antonio Spurs, ma non solo. In particolare negli ultimi minuti di gara, sono molti gli allenatori Nba che affiancano a a un lungo propriamente detto un giocatore perimetrale, pericoloso oltre l'arco, e a volte anche incisivo nel mettere palla per terra (Boris Diaw su tutti).

Lo stesso LeBron James, il più forte giocatore della sua generazione, è stato spesso utilizzato nei Miami Heat (e solo a fasi alterne nei Cleveland Cavs), da numero quattro tattico. In quella posizione il Prescelto ha annientato nella finale del 2012 gli Oklahoma City Thunder del duo Ibaka-Perkins, troppo interno e statico per replicare allo schieramento avversario. Negli ultimi anni si sono tuttavia registrati dei tentativi di far fruttare il vantaggio derivante dal giocatore con il doppio pivot. Ci hanno provato, con esiti disastrosi, i Lakers della coppia Howard-Gasol, e continueranno a farlo i Clippers di DeAndre Jordan e Blake Griffin. Forse la miglior espressione - in termini di efficacia - del sistema "tradizionale" delle ultime stagioni Nba è stata quella degli Indiana Pacers di coach Frank Vogel. Con Roy Hibbert e David West sotto canestro Indiana è arrivata a un passo dalle Finals, sempre stoppata dalla Miami di LeBron. Destino simile per i Memphis Grizzlies di Marc Gasol e Zach Randolph, sempre competitivi ad Ovest ma mai capaci di fare l'ultimo salto per giocarsi il titolo. Anche i Detroit Pistons della coppia Drummond-Monroe hanno tentato per un biennio di giocare con il doppio lungo (con Josh Smith da numero tre peraltro), prima di arrendersi e lasciar andare Monroe a Milwakee.

Quale che sia l'opinione sul tema, è indubbio che la tendenza tecnica della lega sia sempre più quella di giocare con quattro esterni e un centro di ruolo soprattutto per motivi di spaziature offensive. In difesa questo schieramento consente di poter cambiare più facilmente nella marcatura degli avversari, nonostante esista il rovescio della medaglia di un accoppiamento difficile sotto canestro e dei rimbalzi concessi a chi attacca. Chi invece opta per il quintetto tradizionale si appoggia molto ai propri lunghi, alternando soluzioni interne ed esterne a seconda delle situazioni. Ma in tale contesto è indispensabile disporre di un lungo capace di leggere l'eventuale raddoppio e uscirne con un ribaltamento di lato per punire le scelte difensive degli avversari, mentre nella propria metà campo è obiettivamente difficile riuscire a limitare i danni contro attacchi che si spaziano perfettamente sul perimetro con quattro esterni. La disputa è ancora in atto, al campo il compito di definirne in maniera più precisa i contorni.