La stagione dei San Antonio Spurs si è chiusa da poche settimane, con la sconfitta allo Staples Center in gara-7 della serie di primo turno di playoff della Western Conference contro i Los Angeles Clippers. Per i texani è tempo di bilanci, e il primo assistente di Gregg Popovich, Ettore Messina, primo allenatore non americano a sedere su una panchina Nba, ci offre il suo punto di vista sull'annata degli Spurs, con uno sguardo alla pallacanestro a stelle e strisce e alle imminenti Finals.
Coach, per lei questo è stato il primo anno all'interno dello staff tecnico di San Antonio. Qual è il suo bilancio personale e professionale di questa stagione?
"Sicuramente positivo. E' stata un'esperienza professionale molto gratificante, in un ambiente di lavoro in cui il rapporto con giocatori e staff va al di là di ciò che avviene sul campo."
La stagione si è conclusa al termine di una serie durissima, quella contro i Clippers. Era la squadra che più temevate, a causa del loro spiccato atletismo e della loro fisicità?
"No, a Ovest ci sono molte squadre di grande livello. Abbiamo finito la regular season giocando molto bene le ultime venticinque partite. Però sappiamo perfettamente che nei playoff bisogna essere nelle migliori condizioni possibili per competere. Abbiamo comunque avuto la possibilità di andare avanti, essendo in vantaggio 3-2 nella serie, con l'opportunità di giocarci gara-6 in casa".
Quindi il rimpianto principale è non aver vinto una delle due partite casalinghe tra gara-4 e gara-6?
"Ho avuto già modo di dirlo, non potevamo pensare di tornare a Los Angeles e di vincere il terzo match consecutivo in trasferta. La serie andava chiusa in gara-6 davanti al nostro pubblico. E' stata un'occasione che non dovevamo mancare per chiudere la serie".
Tony Parker è sembrato in netta difficoltà fisica, quanto ha inciso sul risultato finale la sua condizione precaria?
"Non sono in grado di quantificare cosa ci sia mancato. Di certo, era sotto gli occhi di tutti che Tony non fosse al meglio. Ciononostante, all'interno della serie, ha giocato alcune partite di buonissimo livello".
Dall'Italia spesso si tende a considerare i San Antonio Spurs come una franchigia a sè stante rispetto alle altre 29 che compongono la Lega. In cosa secondo lei gli Spurs si differenziano dal resto dell'Nba?
"E' difficile rispondere a questa domanda. Personalmente non dispongo di termini di paragone. Posso solo dire che ciò che caratterizza l'intero gruppo di lavoro qui a San Antonio è un accentuato cameratismo. C'è grande disponibilità da parte di tutti e si creano in tal modo anche dei rapporti umani con i singoli componenti del gruppo, che vanno oltre una mera relazione professionale tra staff tecnico e giocatori."
Siamo ormai a una settimana dalle Finals. Cleveland si è appena qualificata, a Ovest i Golden State Warriors sono a un passo dal chiudere la serie contro gli Houston Rockets. Che finali si aspetta?
"Se dovesse qualificarsi Golden State, avremmo una serie caratterizzata da un notevole contrasto di stili di gioco. I Warriors cercano di muovere il più possibile la palla in attacco per trovare le soluzioni migliori per i propri due giocatori principali, Curry e Thompson, mentre il gioco offensivo di Cleveland è costituito da un elevato numero di isolamenti per James, da cui poi nascono anche i tiri per i suoi compagni di squadra. Da questo punto di vista Houston è una squadra simile ai Cavs, avendo un giocatore come Harden che ha molto spesso la palla in mano in situazioni di isolamento".
A settembre si svolgeranno gli Europei. La Nazionale italiana ha adesso quattro giocatori Nba da poter arruolare. Come far in modo che delle ottime individualità si trasformino in una squadra competitiva?
"Ormai seguo la Nazionale solo da tifoso, credo che questa domanda andrebbe fatta a Simone Pianigiani, che è l'unico in grado di poter rispondere su quest'argomento."