Se i San Antonio Spurs sono la franchigia più vincente della NBA degli ultimi quindici anni (a pari merito con i Los Angeles Lakers), il merito non è solo dei giocatori, ma anche dell’organizzazione della squadra texana, gestita alla perfezione da due mostri sacri del basket d’oltreoceano, R.C. Buford e Gregg Popovich.
I due, oltre a essere gli artefici delle scelte al Draft di giocatori come Tim Duncan, Tony Parker, Manu Ginobili e Kawhi Leonard, hanno avuto un grande pregio durante le loro carriere, quello di essersi saputi circondare di assistenti di grande valore, a partire da Mike Budenholzer (attuale allenatore degli Atlanta Hawks), passando per i vari P.J. Carlesimo, Brett Brown, Mike Brown e Jacque Vaughn, fino ad arrivare agli ultimi innesti in ordine temporale di Chip Engelland, Ime Udoka, Ettore Messina e Becky Hammon.
Tra i nomi appena menzionati è molto importante quello di Chip Engelland, agli Spurs dal 2005, conosciuto anche come “The Shot Doctor”: il suo ruolo all’interno della squadra di proprietà di Peter Holt, infatti, è quello di responsabile dei miglioramenti individuali dei giocatori, con particolare attenzione al fondamentale base della pallacanestro, il tiro.
La storia cestistica di Engelland comincia durante la metà degli anni ’70, quando Arthur, chiamato da tutti “Chip”, è considerato un grande prospetto della Pacific Palisades High School di Los Angeles. Uno dei suoi tifosi più affezionati, sempre presente alle partite di quello che, qualche anno dopo, sarebbe diventato il suo liceo, è un ragazzo che ammira le grandi qualità balistiche di Engelland e che cerca di farle sue con continui allenamenti: il suo nome è Steve Kerr (si, proprio l’attuale allenatore dei Golden State Warriors).
Finito il liceo Engelland ha molte offerte per giocare al college e sceglie di accettare quella proveniente da Duke, allora già allenata da un giovane Mike Krzyzewski. Per lui l’andare a giocare in North Carolina vuol dire, soprattutto, lasciare la ragazzina bionda che lo aveva fatto innamorare al liceo: Jeanie, questo il suo nome, infatti, aveva scelto di studiare economia a USC, dove si laureerà quattro anni dopo con il massimo dei voti. Ah, quasi dimenticavo, Jeanie di cognome fa Buss e in questo momento è la proprietaria dei Los Angeles Lakers e compagna dell’attuale General Manager (11 volte campione NBA da allenatore e 2 da giocatore) dei New York Knicks Phil Jackson. Ma questa è un’altra storia.
A Duke Engelland gioca molto bene, tenendo, nel suo anno da senior, quello in cui viene nominato capitano della squadra, una percentuale di tiro da oltre l’arco dei tre punti del 55%. Alla fine della sua carriera collegiale, Chip decide di intraprendere quella professionistica nel luogo dove il basket è quasi una religione: le Filippine. Nel paese in cui è andato in scena l’incontro di Boxe (l’altro sport nazionale) del secolo tra Muhammad Alì e Joe Frazier (il cosiddetto “Thrilla in Manila”), Engelland si fa conoscere come un grande giocatore, guadagnandosi l’appellativo di “The Machine Gun” per le sue grandi prestazioni, sempre contraddistinte dalla sua capacità fuori dalla norma di tirare dalla media-lunga distanza.
Dopo due anni in Asia, culminati con la vittoria della Jones Cup del 1985 con la nazionale delle Filippine, di cui aveva da poco preso la cittadinanza, Engelland decide di riavvicinarsi a casa, giocando per altre cinque stagioni nel Nord America, tra CBA e WBL. Finita la carriera da giocatore, il californiano intraprende subito quella da allenatore, organizzando dei camp estivi (chiamati “Chip Shots”) per atleti che vogliono migliorare la loro tecnica di tiro.
Grazie alle sue capacità di insegnante, “Coach K” lo comincia a coinvolgere spesso negli allenamenti di Duke, dove aiuta Shane Battier a costruire il suo tiro da tre punti, l’arma principale di quello che diventerà uno dei tiratori dal perimetro più forti di sempre, capace di vincere campionati sia a livello collegiale (2001) che in NBA (2012-2013). Nel 1999, poi, Engelland viene ingaggiato dai Detroit Pistons, con il compito di migliorare il tiro di Grant Hill, all’epoca una macchina da triple doppie, ma con una capacità di segnare da oltre l’arco molto ridotta. Chip riuscirà così bene nell’intento che Hill, una volta trasferitosi agli Orlando Magic, continuerà a chiamarlo per degli allenamenti individuali privati, che lo porteranno da lì in avanti ad avere un tiro molto affidabile.
In veste di allenatore, Engelland è un innovatore: per ogni giocatore può inventare un programma personalizzato. Sarà proprio questa sua inventiva, nel 2001, a salvare la carriera del suo vecchio amico Steve Kerr. L’attuale allenatore dei Golden State Warriors, infatti, nella sua penultima stagione da professionista, ai Portland Trail Blazers, ha il problema di non riuscire più a entrare in ritmo quando viene chiamato in campo da coach Cheeks, a causa dello scarso minutaggio che gli viene concesso data la sua età. Così, il play ex Arizona chiama Engelland per farsi aiutare e la sua risposta non può che essere positiva. Chip, dopo poco tempo insieme a Kerr, si rende conto che il suo problema non è tecnico, bensì mentale, perciò decide di aiutare il suo amico sottoponendolo a un allenamento che, in NBA, non si era mai visto prima: il “30 minutes – seven shot workout”. Questo particolare “training” consiste nello stare seduti in panchina, parlando dei famigliari o leggendo i giornali, salvo poi essere chiamati in campo all’improvviso per fare un tiro, prima di sedersi di nuovo a bordo campo. La ricetta di Engelland prevede che Kerr tiri, seguendo questo metodo, sette volte nell’arco di mezz’ora: la creazione di Chip funziona così bene che Steve non solo riesce a sbloccarsi mentalmente in campo, ma grazie alle sue prestazioni viene chiamato da coach Popovich per un’ultima stagione a San Antonio, in cui riesce a vincere il suo quinto e ultimo titolo da giocatore.
Dopo l’esperienza con i Pistons, Engelland viene assunto prima dai Denver Nuggets e poi, finalmente, dai San Antonio Spurs, la franchigia con cui riesce a togliersi più soddisfazioni, vincendo da assistant coach due titoli NBA (2007 – 2014). Il primo capolavoro in Texas di Chip è quello di aumentare le percentuali di tiro di Tony Parker, che prima del suo arrivo, nonostante i due titoli vinti, era stato messo in discussione dalla società proprio per la sua scarsa pericolosità dalla media-lunga distanza. Gli Spurs, infatti, nel 2003, stavano pensando seriamente di cedere il play francese per arrivare a Jason Kidd, allora giocatore dei New Jersey Nets. Fortunatamente per loro, la trade poi non è andata in porto e Parker, grazie al grande miglioramento fatto con i consigli di Engelland, non solo ha vinto altri due titoli con San Antonio, ma è stato anche nominato miglior giocatore delle NBA Finals del 2007.
Parker non è l’unico MVP in maglia Spurs che ha beneficiato del lavoro di Engelland: infatti anche Kawhi Leonard, miglior giocatore delle ultime Finals, è migliorato tantissimo dal suo arrivo in Texas seguendo i precetti di Chip, passando dal 25% da tre punti al college al 37,6% in NBA. Altri due giocatori che “The Shot Doctor” segue in modo particolare hanno visto aumentare in modo sostanziale le loro percentuali da oltre l’arco dei tre punti: si tratta di Patty Mills e Marco Belinelli. Il primo, grande protagonista della serie finale dell’anno scorso contro i Miami Heat, è, infatti, passato dal 33,1% del college al 40,6% in NBA, mentre Belinelli, nel suo primo anno a San Antonio dopo l’esperienza con i Chicago Bulls, è passato dal 35% al 43%, vincendo anche la gara dei tre punti all’All-Star Game 2014.
Inoltre, sempre sotto la “Gestione Engelland”, i San Antonio Spurs hanno anche realizzato due record delle NBA Finals: % di tiro dal campo in un primo quarto (86,7%) e % di tiro dal campo in un primo tempo (75,8%), entrambi durante Gara-3 delle ultime finali.
Dunque, da qui in avanti, ricordate che quando San Antonio vince qualcosa il merito non è solo del coach o dei giocatori, ma anche di Arthur “Chip” Engelland, l’arma segreta degli Spurs.