Un anno e mezzo difficile, quasi impossibile. Tra panchina, retrocessione in D-League, un allenatore che non lo vedeva nemmeno con il binocolo. Poi la cessione, quasi una liberazione, ma non del tutto. Gigi Datome è passato, nei mesi scorsi, dal vestire la maglia dei Detroit Pistons a quella secolare dei Boston Celtics. Un onore, un motivo d'orgoglio, se non altro vedere cucito il proprio nome accanto ad uno degli stemmi più vincenti della storia del basket a stelle e strisce. Ebbene, mancava soltanto l'ultimo tassello a rendere questa storia da bella ad una favola. A Gigi mancava il campo, più d'ogni altra cosa. Dimostrare che lui, in quella lega stratosferica, poteva starci.
A liberarlo dalle catene c'ha pensato l'allenatore dei Celtics, Brad Stevens, che dopo averlo visto in allenamento avrà pensato: "perché non dargli fiducia, questo a basket, forse, sa giocare!". Detto, fatto. Nelle ultime due gare (Orlando e Miami) gli è stata data quella fiducia che forse avrebbe meritato prima. Fatto sta che i numeri, ed i minuti, parlano per lui: 12.3 minuti di utilizzo (20 nell'ultima gara a Miami), 7.5 punti (13, career high eguagliato, sempre alla Triple A Arena), 2.3 rimbalzi e per gradire un 56.5% dal campo che non guasta mai.
E l'America, Boston in testa, ha scoperto un nuovo Gigi Datomey (eh già, la pronuncia americana ha storpiato anche il suo di nome), che s'è raccontato al Boston Globe: "Era da qualche partita che mi diceva di stare pronto e, anche se questa frase mi risuona da un anno e mezzo nelle orecchie, è successo e sono molto felice. So che 2 gare nella Nba non rappresentano nulla, ma è stata una liberazione dopo il momento che ho vissuto, con tantissimi “non entrato” e essere finito nella lista degli inattivi. Sono stato sempre sul pezzo, bisogna essere sempre coinvolti in quello che fa la tua squadra anche se sai che non giocherai, lavorare tanto individualmente, essere il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Ma solo la partita ti dà la vera opportunità. Ho imparato a non aspettarmi più niente, posso controllare solo quello che faccio. Nelle rotazioni degli esterni non c’era Avery Bradley vedremo cosa succederà contro Memphis. Mancano 20 partite alla fine della stagione regolare, vivrò momenti difficili, ma voglio mettere la pulce nell’orecchio che c’è bisogno di me".
Il Datome che s'è affacciato alla Nba era stato etichettato come specialista al tiro, ma nella carriera di Gigi c'è anche altro: atletismo e capacità difensive, che forse a Boston stanno apprezzando di più rispetto a Detroit. "In linea di massima, sì. Ai Pistons mi hanno preso come specialista e pretendevano che tirassi appena ricevevo la palla, che è un modo di concepire la pallacanestro lontanissimo dal mio. Ai Celtics sanno tutto di me dai tempi di Roma, anche se in America tutto ciò che non hai fatto nella Nba non lo sai fare. I Celtics? E’ fighissimo e un po’ speciale. Non sono i Celtics più gloriosi ma c’è il mio nome su una maglia storica. Ogni volta che entro al TD Garden non posso fare a meno di guardare i posti in piccionaia dove ho assistito alle finali del 2010 con mio fratello e un mio amico, da turista. Cinque anni fa ero lassù, adesso in campo. Boston è una bella città dove vivere anche se ho poco tempo per godermela e vivo ancora in albergo".
Torna anche sul rapporto con Detroit, successivamente, parlando di scelte tecniche e non solo: "Come nel resto della mia carriera, ho subito delle scelte altrui contro di me che mi hanno fatto male. E ho cercato di dimostrare in campo che erano sbagliate. Anche in Italia ho dovuto far ricredere delle persone sul mio conto. A Detroit non era giusto che non giocassi mai, mai, mai. Ma dimostrare che avessi ragione, è una cosa che devo soprattutto a me stesso".
Così come è capitato ai vari Ginobili, Belinelli, anche lo stesso Bargnani, per certi versi, al loro arrivo nella Nba, Gigi ha faticato, tanto, forse troppo ad ambientarsi al Mondo Nba.
"Il mio futuro è la prossima gara con Memphis. L’obbiettivo è riuscire, nelle partite che mancano, a suscitare l’interesse della Nba nei miei confronti così da poter scegliere, alla fine dell’anno, tra il maggior numero di offerte possibili per trovare quella migliore per la mia carriera".
E' presto per dire che Datome sia riuscito a trovare la realtà giusta per esprimersi anche in America, ma finalmente potrebbe essere l'occasione giusta al momento giusto per mettersi quantomeno in mostra. Sarà stato il calore della Florida oppure Datome è veramente libero di conquistare gli Usa?