Alzi la mano chi non conosce i Boston Celtics. Quando si parla di Nba, con ogni probabilità, tra le prime cosa che ci vengono in mente sono le squadre che hanno caratterizzato la storia di questo gioco. Tra le prime tre squadre più famose di tutti i tempi, assieme ai rivali storici dei Los Angeles Lakers e ai Chicago Bulls di Jordan, ci sono loro: i Boston Celtics. Parlare della franchigia più vincente del gioco e della loro storia potrebbe sembrare riduttivo o quantomeno scontato; per questo vi porteremo nel “celtics pride”, negli uomini e nei giocatori che hanno scritto pagine indelebili del basket e in quelli che potrebbero essere i nuovi Boston Celtics.
LA FRANCHIGIA PIU VINCENTE DI SEMPRE – Quando nel 1946 Walter Brown si mise all’opera per dare vita ad una squadra professionistica di pallacanestro, il suo unico intento era quello di dare un’alternativa valida all’hockey sul ghiaccio, che riposava durante la stagione invernale. Mai si sarebbe aspettato però di creare la squadra più storica e vincente dell’intera Lega Americana. La storia dei Celtics nasce di fatto qualche anno dopo quando le strade dell’owner e del newyorchese Arnold "red" Auerbach si incontrarono, per la reciproca fortuna. Da allora, una programmazione impeccabile e tante scelte oculate lanciarono Boston nell’elite del basket a stelle e strisce che prosegue tutt’ora. La storia dei Boston Celtics è diversa rispetto a quelle delle altre franchigie Nba: molto più costante, ciclica, piena zeppa di squadre che, nel corso degli anni, hanno dominato le rispettive epoche. Certo, all’interno di quelle squadre c’erano i capostipiti della storia della franchigia intera e del basket di tutti i tempi, ma quello che ha sempre caratterizzato l’ambiente che si respirava a Boston, fuori e dentro la squadra, è sempre stato qualcosa di unico: il “celtics pride”. Prima Bill Russell ha guidato Tom Heinsohn e K.C. Jones nel periodo più luminoso nella storia della franchigia: undici titoli in tredici stagioni. Poi John Havlicek (miglior marcatore della storia della squadra) ha fatto da guida a gente come Tom Sanders, Sam Jones ed un giovane Don Nelson alla conquista di altri titoli. Ed infine le due stirpe di “big three”, cosi come sono stati chiamati i terzetti che hanno dominato gli anni ’80 e il finire della prima decade del nuovo millennio: Larry Bird, Robert Parish, Kevin McHale (forse la migliore frontline della storia del gioco) e Paul Pierce, Kevin Garnett, Ray Allen. Due terzetti diversi, ma uniti da un solo intento: vincere ed essere legati dallo spirito che ha sempre fatto parte della storia dei Boston Celtics. Una storia unica ed inimitabile, che ancora oggi vuole continuare a scrivere pagine indelebili.
IL CELTICS PRIDE – Ma cos’è il celtics pride? Si è sempre parlato di questo “orgoglio” come parte integrante della squadra, della città e di tutto ciò che circonda il Boston Garden. Proviamo a descriverlo cercando di utilizzare tra le altre cose, le parole dei protagonisti che hanno vissuto e vestito quella maglia magica. “Celtic Pride” è un insieme che riassume alcuni valori, seppur immaginari: sacrificio individuale per il bene collettivo, rispetto, tenacia, spirito guerriero, interpretazione del gioco con una commistione tra cuore e cervello. Concetti nati nella scintilla dell’incontro tra due uomini di caratura superiore come Walter Brown e “Red” Auerbach e germogliate in sessant'anni nei cuori di quattrocento giocatori. Seppur parole, ecco cosa sembra fare dei Celtics qualcosa di unico nel panorama sportivo mondiale: se anche i loro eccezionali risultati sportivi venissero eguagliati, le conquiste sociali rimarrebbero comunque inarrivabili. Come disse Red Auerbach: “essere un Celtic è un modo di interpretare la vita”.
GLI ULTIMI SUCCESSI ED IL NEW DEAL – Dall’ultimo titolo, in calendario datato 2008, ad oggi, i Celtics sono passati dai big three ad una programmazione non propriamente degna di quelle di Red Auerbach. Tanti giocatori mediocri sono passati sul parquet del Garden, senza che nessuno di questi abbia dato la netta sensazione di appartenere a quel famoso spirito di cui sopra. Anche per questo e per evitare di restare in un limbo senza fine, la dirigenza ha deciso al termine della scorsa stagione di rifondare del tutto la rosa, come dichiarato dal GM della franchigia Danny Ainge. Gli scambi degli ultimi anni sono tutti incentrati ad ottenere giovani speranze del gioco che, uniti all’uomo simbolo scelto per guidare la squadra, Rajon Rondo, riportino i Celtics dove meritano.
I NUOVI CELTICS –
Quintetto: Rondo, Bradley, Green, Bass, Sullinger. Principali riserve: Smart, Thornton, Wallace, Olynyk, Zeller, Young, Turner.
Danny Ainge ha scelto. Il nuovo prospetto e uomo del riscatto dei Celtics sarà Marcus Smart: e come dargli torto. Nell’idea del Gm, e forse anche di Stevens, la coesistenza di due stelle in un ruolo cosi cruciale e decisivo, Rondo e Smart, potrebbe resistere. Certo, avere due giocatori sostanzialmente simili, a cui piace attaccare il canestro piuttosto che tirare dal perimetro ed aprire spazi per i compagni, potrebbe creare qualche problema. Però, il roster cosi come è stato costruito, si basa e molto sulla presenza di Rajon, che assieme a Jeff Green e Brandon Bass sono i “senatori del gruppo” nonostante i soli 28 anni di età. Il contorno è formato da un misto di tanti giovani rampanti con esperienza come Avery Bradley e Marcus Thronton, point guard dall’ottimo tiro dalla distanza, classe ’90 e ‘88, Evan Turner, firmato dopo l’uscita del giocatore dagli Indiana Pacers e Jared Sullinger, ala grande al quale si chiede di confermare le buone prestazioni dello scorso anno, classe ’92. Questi tre giocatori hanno delle caratteristiche complementari a quelle dei due playmaker: i primi due sono buoni tiratori dal perimetro che possono dare sfogo alle penetrazioni ed agli spazi creati da Rondo e Smart; il terzo può essere il punto di riferimento interno che da al gioco dei Celtics una dimensione non soltanto esterna. Sotto canestro, inoltre, sfruttare l’esperienza di Brandon Bass, unita alle doti di falegnameria di Olynyk e Zeller, potrebbe garantire a coach Stevens quella giusta dose di rimbalzi e cattiveria agonistica. Tutto da scoprire, invece, l’altro talentino scelto alla numero 17 dopo una sola stagione a Kentucky: James Young, classe ’95, sembra avere notevoli margini di miglioramento. Anche se la sua giovane età potrebbe essere un freno per la sua esplosione, la sua faccia tosta (14 di media al primo anno a Kentucky) potrebbe essere invece la miccia per un futuro tutto da scrivere.
LA STELLA: RAJON RONDO? Beh! Le parole di Ainge suonano quasi come un’investitura sulle spalle di Rajon. Il play dei Celtics dopo una stagione nella quale ha disputato soltanto 30 gare, nelle quali nonostante tutto ha messo a segno 11 punti di media e 10 assist, è alla ricerca di una stabilità fisica e tecnica. Che Stevens conti molto, anzi, quasi tutto, sul talento di Rondo è certo, ma dopo la scelta al draft di un altro play con le caratteristiche simili alle sue, qualche domanda Rajon se l’è fatta. Con i dubbi che vagano nella sua testa, e forse, anche in quella della dirigenza (che sembra essersi cautelata nel caso il recupero del quarto violino del 2008 non dovesse concludersi nel migliore dei modi e non dovesse rinnovare il contratto in scadenza), l’estate di Rajon è stata molto travagliata, con le richieste di molte squadre che provavano a convincerlo del trasferimento. “Rajon Rondo è il nostro play, ed è il centro del nostro progetto di rinascita”, queste le parole che forse hanno colpito più di tutte Rondo, che, all’alba di una stagione importante per il suo futuro, vuole riprendere da dove aveva lasciato prima dell’infortunio. Con o senza Smart, la stella ed il faro della squadra sembra essere lui.
RISING STARS: OVVIAMENTE, MARCUS SMART – 20 anni di sfacciataggine e presunzione che gli hanno permesso, nel corso della sua giovane carriera, di fare già tanta strada. La storia di Marcus Smart è di quelle che colpisce: la morte del fratello trentenne quando lui aveva dieci anni l’ha segnato ed ha contribuito tanto alla formazione dello Smart giocatore e uomo. “Mio fratello era tutto per me. Questo momento mi porta quasi alle lacrime, pensando che lui mi guarda sempre dall’alto e mi guiderà nella mia carriera cestistica”. Queste le parole di un emozionatissimo Marcus poco dopo essere stato scelto al draft dai Boston Celtics di Brad Stevens e Danny Ainge. Un “emotional boy” che però, a volte, dimentica di lasciare tutto alle spalle e far parlare soltanto il suo talento cestistico. Caratterino non proprio facilissimo, si è fatto conoscere ai tempi del college quando è venuto alle mani con uno spettatore avversario presente sugli spalti (più che altro è lui che ha spinto il tifoso che l'aveva offeso con insulti razzisti). Tre giornate di squalifica e giocatore etichettato, ma Marcus giura che l’accaduto ha contribuito a renderlo una persona ed un giocatore migliore. Ma passiamo alla palla a spicchi ed al Marcus Smart giocatore. Non proprio il playmaker puro dei vostri sogni alla Steve Nash, Marcus è un estroso costruttore di gioco di 193 cm per 100 chili, corporatura scolpita e grande esplosività, che gli permette di bruciare la maggior parte degli avversari nell’uno contro uno. Non ha grande verticalità, come Westbrook o altri, ma sopperisce a questa mancanza attaccando il canestro con forza, caparbietà e potenza, che spesso lo rendono immarcabile. Il punto debole del giocatore è senza dubbio il tiro. Nonostante ciò, la sua personalità in campo fa si che voglia sempre avere il possesso tra le mani per poterlo gestire a suo piacimento, spesso con risultati eccellenti. Nei due anni ad Oklahoma State ha messo assieme numeri di tutto rispetto (sicuramente maggiori rispetto alle vittorie della sua squadra) confermando le sue doti atletiche e di visione di gioco (6 rimbalzi, 5 assist e 3 rubate a notte di media), contribuendo inoltre con circa 16.5 di media nel biennio. Il suo primo anno ai Celtics dovrà sicuramente dargli una mano ad inserirsi tra i grandi, e per farlo al meglio, potrà partire in “sordina” guidando la second unit di Brad Stevens. Rondo e Avery Bradley, considerando anche la loro maggiore esperienza dovrebbero partire titolari, ma Marcus freme all’idea di imporsi già nel suo anno da rookie.
L’ALLENATORE – Prendere il posto di uno dei migliori allenatori nel panorama Nba, e di uno che ha fatto la storia della franchigia, non dev’essere stato proprio il massimo per Brad Stevens. Il giovanissimo trentottenne di Zionsville si è trovato catapultato dagli ottimi risultati della sua piccola università di Butler alla panchina dei Boston Celtics. Nel 2001 fu nominato assistente di Todd Lickliter per l’università di Butler e ricoprì l'incarico fino al 2007, anno in cui venne nominato capo allenatore. In 6 stagioni alla guida dei Bulldgos ha collezionato 166 vittore e 49 sconfitte, record di tutto rispetto, raggiungendo la finale per il titolo NCAA nel 2010 e nel 2011 (perdendo rispettivamente da Duke University e University of Connecticut).L’arrivo ai Celtics come uno dei più promettenti allenatori del panorama intero americano non ne ha favorito l’inserimento e, complici anche i capricci di Rondo e del resto della squadra, i risultati non sono stati del tutto soddisfacenti. Le 25 vittorie sono un magro bottino per i Celtics che quest’anno sono chiamati non solo a migliorare il record, ma anche a puntare a qualcosa di più importante.
STILE DI GIOCO – I Celtics che scenderanno in campo quest’anno ricalcheranno, per grandi capi, la squadra dello scorso anno. Cura della difesa e del ritmo della gara sono da sempre prerogative del gioco di Stevens, sin dai tempi di Butler, ed i vecchi modi non sono affatto cambiati. Di certo il gioco di Stevens potrebbe subire una forte accelerata considerando il recupero di Rondo e l’innesto di Smart, ma l’idea principale sarà sempre quella di tener conto il più possibile del numero di possessi e l’applicazione dei temi tattici imposti nello studio approfondito delle gare. Che i nuovi Boston Celtics siano un cantiere a cielo aperto non è di certo una novità e, affidare un tale progetto a lunga durata nelle mani di un coach con queste capacità e con la giovane età che lo supporta, potrebbe davvero risultare una mossa vincente per il futuro.
OBIETTIVI: PLAYOFF O TANKING? - In una Eastern Conference fatta di poche, pochissime certezze, l’obiettivo dei Boston Celtics, oltre a migliorare sensibilmente il pessimo record dello scorso anno, potrebbe essere il raggiungimento dei playoff, anche se non sembra affatto facile. Con la rifondazione ancora in atto, la possibilità di “tankare” un’altra stagione e mettere al fianco di Smart un’altra super star potrebbe essere un’alternativa allettante. Di certo, la differenza tra playoff e tanking è enorme ma, le possibilità di sfruttare l’entusiasmo dei giovani e dell’allenatore potrebbe rappresentare la marcia in più e, sperando in un grande ritorno di Rondo, i Celtics potrebbero avere qualche chance in più di centrare l’ottavo posto. Le squadre da superare nella corsa ai playoff sono sicuramente tante, forse troppe, ma il celtics pride è pronto all’ennesima sfida.