Il primo botto della off-season 2014 matura nella notte fra mercoledì 24 e giovedì 25 giugno: Tyson Chandler, centro titolare dei New York Knicks, fa ufficialmente ritorno ai Dallas Mavericks, coi quali vinse l’anello di campione del mondo nella trionfale stagione 2010/2011. Come svelato, spiegato e confermato da Marc Stein (ESPN), Adrian Wojnarovski (Yahoo!Sports) e Marc J. Spears (Yahoo!Sports), si tratta a tutta gli effetti di una blockbuster trade, con addirittura sei giocatori coinvolti: oltre alla seconda scelta all’NBA draft 2001, infatti, vola in Texas anche il playmaker Raymond Felton, mentre a completare il percorso inverso sono il geometra spagnolo José Calderòn, il pivot haitiano Samuel Dalembert, la combo guard sophomore Shane Larkin e la guardia tiratrice Wayne Ellington. Non solo: per “premere il grilletto”, la dirigenza arancio-azzurro ha preteso e ottenuto anche due scelte, la numero 34 e la numero 51, al draft tenutosi due sere dopo, con le quali ha potuto prelevare Cleanthony Early, ala piccola in uscita da Wichita State, e il greco Athanasios "Thanasis" Antetokounmpo, fratello del “Greek Freak” Giannis Antetokounmpo, approdato ai Milwaukee Bucks lo scorso anno con la quindicesima scelta.

BACK TO THE FUTURE – Che i Mavs fossero intenzionati a riappropriarsi del loro centro-franchigia, se così possiamo definirlo, era ormai un segreto di Pulcinella: la combinazione composta da Samuel Dalembert, messo sotto contratto appena un anno fa dopo una stagione disgraziata in Wisconsin, e Brandan Wright, trattenuto grazie agli Early Bird Rights, non aveva mai trovato una piena continuità durante la stagione regolare ed anzi, nella lunga serie contro i San Antonio Spurs al primo turno dei recenti playoff, aveva manifestato tutta la sua inadeguatezza, col primo troppo statico, troppo lento e spesso troppo ingenuo (quante volte coach Rick Carlisle è stato obbligato a sostituirlo per problemi di falli…) ed il secondo decisamente troppo leggero, troppo poco reattivo in difesa (difesa del pick and roll: cos’era costei?) e troppo limitato in attacco. La cavalcata leggendaria di tre anni fa, della quale Tyson Chandler era stato artefice tattico e anima pulsante, aveva confermato l’assoluta necessità di affiancare al futuro Hall of famer Dirk Nowitzki un perno difensivo di massimo spessore, un rim protector dotato di tempismo e potere intimidatorio di primissimo livello, un rimbalzista potente e aggressivo capace di tiranneggiare in entrambi i pitturati. Se il mercato non offre alcun degno replicante o alcun valido surrogato, perché non provare a riappropriarsi dell’originale?

La situazione tecnica dei New York Knicks, d’altronde, stava facendosi sempre più stretta e insostenibile per un atleta competitivo ed ambizioso come il Defensive Player of the year 2012: la mancata qualificazione all’ultima post-season aveva accelerato i tempi di una rivoluzione dirigenziale a lungo auspicata ed oramai inevitabile, con Phil Jackson nuovo team president e, come primo editto, Derek Fisher nuovo capo allenatore. Ad una direzione tattica – l’adozione della pluridecorata “triangolo” - difficilmente compatibile con la poca qualità di passaggio di Tyson Chandler, si è poi aggiunta la profonda incertezza relativa al prossimo futuro di Carmelo Anthony, ufficialmente uscito dal contratto che lo legava alla Grande Mela anche il prossimo anno e diventato finalmente e per la prima volta Unrestricted Costless Agent. La cessione del 7 piedi classe ’82 può essere interpretata come la resa finale di fronte alla possibilità (crescente) di perdere il miglior marcatore della stagione regolare 2012/2013 e, contemporaneamente, come l’atto d’avvio della rifondazione post-Melo, in quanto 1) ha privato il roster newyorkese dell’unico asset credibile da presentare al numero sette in caso di ulteriori trattative e 2) ha portato nella Grande Mela un playmaker ideale, per intelligenza cestistica e pericolosità realizzativa dalla lunga distanza, alla conduzione dell’idea di gioco che l’ex Venerabile Maestro dei Los Angeles Lakers vorrà seminare al Madison Square Garden.

WIN/WIN – Se è vero che lo scambio verteva essenzialmente su Tyson Chandler e José Calderòn, nondimeno la composizione dei restanti pezzi del puzzle indica piuttosto chiaramente che il manico del coltello fosse nelle mani di Phil Jackson: tenendo conto del fatto che Wayne Ellington è stato inserito solo ed esclusivamente allo scopo di pareggiare la bilancia salariale mentre il contratto di Samuel Dalembert è garantito solo per 1.8 milioni di dollari, quindi può essere tagliato dal roster in maniera sostanzialmente indolore, il trasferimento di un prospetto interessante come Shane Larkin e soprattutto di entrambe le scelte al secondo giro dell’ultimo draft NBA ha privato i Dallas Mavericks di qualunque giovane futuribile e, contemporaneamente, ha offerto ai New York Knicks – altrimenti privi di scelte – l’opportunità di iniziare un lungo e faticoso percorso di ringiovanimento che, in caso contrario, si sarebbe concentrato sul solo Tim Hardaway Jr., chiamato per ventiquattresimo appena un anno fa. E’ evidente come tutto ciò possa costituire un prezzo decisamente salato per un giocatore che, per quanto determinante nei piani dei Mavs, era comunque al suo ultimo anno di contratto, ma in realtà non fa che confermare la natura ostinata e contraria delle esigenze progettuali delle due franchigie: mentre nella Grande Mela sono consapevoli di dover intraprendere un percorso pluriennale, quasi certamente in attesa di una nuova stella, nella Big D l’obiettivo centrale è sfruttare al massimo gli ultimi anni della lunga ed onorata carriera dell’uomo franchigia Dirk Nowitzki, quindi non ci sarebbe il tempo materiale di aspettare la maturazione dei rookie né la possibilità concreta di dar loro il dovuto spazio, anzi, si sarebbe persino ridotto lo spazio salariale a disposizione per le offerte contrattuali ai prossimi costless-agent.

In questa prospettiva, non si può sottovalutare il sollievo economico che comporta la sostituzione di José Calderòn con Raymond Felton, tanto a breve quanto a lungo termine: mentre il secondo detiene un solo anno di contratto ed una player option per quello successivo, entrambi a poco più di 3.5 milioni di dollari, il ragioniere iberico aveva siglato appena l’estate scorsa un accordo quadriennale, ovvero fino al suo 35esimo anno di età, ad importo superiore al doppio. Sebbene la straordinaria efficienza nella costruzione della manovra offensiva nonché la devastante mira dall’arco dei 3 punti ne facciano sicuramente un elemento prezioso, la sua storica impotenza difensiva, a causa di un corpo non esattamente erculeo, sarebbe divenuta progressivamente insostenibile nei delicati equilibri di squadra, a maggior ragione ove appaiato ad una guardia tiratrice come Monta Ellis, anch’essa penalizzata da una struttura fisica non esattamente adeguata a quella dei suoi avversari abituali. E’ così che i Dallas Mavericks sono riusciti a catturare i proverbiali due piccioni con una sola fava: risolvere l’equivoco tattico di un giocatore destinato a diventare presto un problema più che una risorsa e, allo stesso tempo, assicurarsi ulteriore spazio di manovra sul mercato, il quale potrebbe essere cruciale già a partire dall’estate prossima, quando si riproporrà una costless-agent class decisamente ricca e intrigante e scadrà anche il contratto dello stesso Tyson Chandler (14.5 milioni di dollari).

FRESH START – Si potrebbe obiettare che quello stesso spazio, o più probabilmente anche di più, dovrà essere investito per portare in Texas un degno sostituto proprio di Calderon: alla luce dell’agghiacciante stagione 2013/2014 disputata da Felton, che ha fatto registrare i valori più bassi in carriera in quasi ogni singola voce statistica, ribattere potrebbe essere impresa ardua. In realtà, occorre tenere conto di due considerazioni fondamentali, la prima di natura ambientale e la seconda di orientamento tecnico-tattico: innanzitutto, annata più che inquietante non è stata soltanto quella dell’ex playmaker dei Portland Trail Blazers, bensì quella di tutti i New York Knicks, rimasti clamorosamente esclusi dalla griglia playoff a vantaggio dei mediocri ma volonterosi e meglio organizzati Atlanta Hawks; in secondo luogo, la trottola classe ’84 ha dovuto convivere con una sequenza impressionante di infortuni muscolari e articolari, non ultimo una seria distorsione al polso destro che ne ha ulteriormente compromesso il rendimento all’interno di un impianto di non-gioco, quello “orchestrato” da coach Mike Woodson, che decisamente non lo premia né lo impiega correttamente, limitandone il ball-handling e obbligandolo a sparacchiare dalla linea dei 3 punti con un rivedibile 32%.

La caratteristica principale di Raymond Felton, come ricorderanno soprattutto i tifosi newyorkesi nostalgici dell’epoca di Mike D’Antoni, è la conduzione del pick and roll, a maggior ragione se coadiuvato da un lungo energico ed esplosivo come Tyson Chandler; uno schema essenziale, nella pallacanestro moderna, che è stato pressoché totalmente esiliato nell’ultima gestione woodsoniana e che costituisce invece il collaudato marchio di fabbrica del capo allenatore dei Dallas Mavericks, coach Rick Carlisle. Per quanto il metodo dantoniano tenda irrimediabilmente a gonfiare i dati statistici, non c’è dubbio che i 17 punti e soprattutto i 9 assist di media maturati durante il breve stint col Baffo in panchina – appena 54 partite – siano un dato promettente, al pari di una società molto più attenta e serena quale sono appunto i Mavs, il cui staff medico dovrà porre estrema attenzione ad evitare che “Ciccio” Felton ricada negli ormai cronici problemi di peso-forma. Per quanto la sua titolarità possa essere messa in discussione, a maggior ragione alla luce del probabile ritorno di un Devin Harris apparso tirato a lucido nella confortante serie contro i futuri campioni NBA, la sensazione è che il General Manager Donnie Nelson abbia accettato di liberare i Knicks di una presenza ormai sgradita (oltre che incompatibile con la famigerata Triple-Post Offense jacksoniana) anche perché intimamente convinto che il trentenne originario del South Carolina possa davvero essere recuperato, lasciando che Harris continui a ricoprire il ruolo nel quale si è disimpegnato così egregiamente contro i nergoargento: sesto/settimo uomo con minutaggio variabile fra i 20 e i 25 minuti. 

RECRUITING – Comunque andrà con Raymond Felton, è difficile pensare che Mark Cuban, esuberante proprietario dei Dallas Mavericks, avrebbe rinunciato per così poco a riportare in Texas Tyson Chandler, non soltanto per via dell’importanza capitale in campo e all’interno dello spogliatoio, ma anche per l’effetto strategico che la sua sola presenza potrà avere nel convogliare le attenzioni dei costless-agent attualmente disponibili, in primis Carmelo Anthony. Non ce ne voglia l’umile ed utile Samuel Dalembert, ma è evidente che la combinazione di Dirk Nowitzki ed il Defensive player of the year 2012, nonostante la non più tenera età e magari alcuni acciacchi di troppo, componga ancora oggi una frontline con pochi eguali nella lega, sia per i risultati conseguiti tre anni orsono, sia per le prestazioni di alto livello offerte singolarmente nelle ultime stagioni, sia per la straordinaria considerazione umana della quale entrambi godono presso i colleghi della National Basketball Association. Ad essi si aggiunge poi un Monta Ellis completamente rigenerato dall’inatteso e felice trapianto nella Big D: merito, al solito, dell’inestimabile “cura Carlisle”, che ha trasformato un volume shooter egoista ed scriteriato in un closer micidiale e perfettamente inserito in un contesto di sistema. Non sarà la prima volta che i Dallas Mavericks si presenteranno di fronte ad un ambìto costless-agent – con Deron Williams e Dwight Howard andò male e il proverbio facilmente intuibile non evoca particolari speranze – ma questa volta, oltre al consueto spazio salariale e alla buona volontà di un Dirk Nowitzki pronto all’ennesimo sacrificio economico per accorrere in aiuto alle mosse di mercato della propria franchigia, avranno ben altri argomenti: la rinascita del “Mississippi Bullet” (azzeccato soprannome del Most Improved Player 2007), le 7 gare cui sono stati costretti i San Antonio Spurs (unica squadra a riuscire in quest’impresa, non gli Oklahoma City Thunder nè i Miami Heat campioni in carica) e, per l’appunto, Tyson Chandler. Colui che, 3 anni fa, proprio Carmelo Anthony pregò i Knickerbockers di strappare ai Mavs…