E’ terminata con risvolti sicuramente meno spettacolari rispetto a quelli del 2013, ma le Finals 2014 hanno comunque lasciato un segno importante nella storia dell’Nba. Lo sa bene Tim Duncan in grado ora di sfoggiare un anello per ogni dito di una mano, così come l’intera organizzazione Spurs che si è presa una rivincita che sembra inappellabile sugli Heat, forse, considerando anche le immancabili variabili di mercato, arrivati alla fine di un ciclo. Così è lo sport, così è la vita. E’ necessario per tutte le franchigie capire quando è arrivato il momento nella quale resettare tutto e partire verso una nuova esperienza, magari più complicata ma certamente ricca di ambizioni. Business ed Nba sono un binomio indissolubile, ed il mercato inizia a presentare come di consueto le trattative chiave, alcune già avanzate altri ferme ad uno stato embrionale. Voci, rumors, dichiarazioni, smentite. Si entra ora più che mai nella fase costituita da negoziazioni, trade, interviste e scambi. Il parquet per il momento può attendere, si alza il sipario sul mercato, fenomeno di assoluto rilievo e coinvolgimento nel mondo della palla a spicchi statunitense, si va in scena.
CLEVELAND CAVALIERS
Dopo lunghe negoziazioni ed interviste, i Cavs hanno finalmente apposto il primo tassello per la squadra del futuro scegliendo il loro nuovo allenatore: David Blatt. Un vero e proprio colpo di mercato quello effettuato dalla franchigia di Dan Gilbert, capace così di persuadere il tecnico israeliano ad intraprendere l’avventura da coach anche nel nuovo continente. Uomo di grande esperienza e maturità, Blatt ha saputo prevalere sulla folta schiera di concorrenti al posto. Approda nella Lega più seguita del mondo con il titolo di fresco campione d’Europa conquistato lo scorso mese con il Maccabi Tel Aviv ai danni del Real Madrid. Il nuovo corso che tifosi e dirigenza sperano possa finalmente portare frutti maturi, sarà affidato ad un tecnico stimato e rispettato in tutta l’Europa cestistica, vincitore di numerosi riconoscimenti e che ha lasciato il segno anche nel nostro Paese: fu con l’allenatore nativo di Boston in panchina che la Benetton Treviso colse il ultimo successo nel campionato italiano nel 2006 e l’ultimo trofeo, prima della dissoluzione, ossia la Coppa Italia nel 2007. Davanti ad egli la possibilità di scrivere preziosi ed interessanti pagine di basket Nba, continuando quella missione già ben avviata in Europa. In attesa della conferenza stampa di presentazione, prevista per mercoledì, Blatt ha già speso le prime parole da tecnico di Cleveland: “ Sono contento di aver firmato con questa organizzazione, sono felicissimo, sarà una sfida importantissima per me. “ avrebbe detto come riportato su Twitter da David Pick. L’ex commissario tecnico della Russia porrà la sua firma su un contratto triennale, da circa 20 milioni di dollari complessivi, con l’opzione per il quarto anno. La scelta del nuovo head-coach arriva logicamente al ridosso di un evento piuttosto importante per il futuro del club. Tra meno di una settimana si svolgerà a New York il Draft 2014, i Cavs come sappiamo avranno tra le mani la prima scelta assoluta anche quest’anno. Ci sono però Grossi dubbi su quale questa verrà esercitata. Il cestista sulla carta destinato a ricevere la prima chiamata da parte del Commissioner Adam Silver, Joel Embiid ha rimediato infatti un brutto infortunio al piede destro che lo costringerà a rimanere lontano dal parquet per lungo tempo. Frattura all’osso navicolare del piede destro per la precisione, sulla quale sarà necessario intervenire anche con un intervento chirurgico. Un incidente di questa portata, può naturalmente ridisegnare i piani della franchigia dell’Ohio, che magari considerando poi il background relativo agli infortuni del giocatore del Kansas (nel recente passato ha avuto fastidiosi problemi con la schiena), potrebbe decidere di puntare su Jabari Parker o Anthony Wiggins. L’appuntamento è fissato a giovedì, quando avremo la possibilità di appurare quale sarà stata la scelta, nel pieno significato della parola, della società.
MIAMI HEAT
E’ caduta anche Miami, è terminato probabilmente anche quel ciclo inaugurato due stagioni fa dalle parti di South Beach. Dopo due anni di dominio quasi assoluto, la franchigia della Florida sembra essere arrivata nella fase discendente della sua parabola. Sia chiaro, non è tutto è perduto, il tecnico Spoelstra oltre a raccogliere grosse soddisfazioni sul campo, in grado di costruire un sistema di gioco tanto forte in fase offensiva quanto efficace in difesa, può naturalmente ripartire da quanto di buono fatto e prodotto fino a questo punto. Necessaria, per riaccendere i motori di un auto negli ultimi tempi apparsa in affanno e stanca, anche la questione relativa al futuro dei Big-Three. Le domande e le speculazioni relative alla loro scelta contrattuale, ha accompagnato per intero la stagione degli Heat: LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh eserciteranno la clausola presente nei loro rispettivi contratti per restare all’ombra dell’ American Airlines Arena per un altro anno oppure diverranno dei Costless Agent. I dubbi sulla loro permanenza, dopo la debacle delle Finals sono inevitabilmente lievitati, ma prima di capire cosa faranno i tre tenori (ancora) biancorossi sarà indispensabile aspettare ancora un po’ di tempo. Nelle exit interview di rito post atto finale dei playoff, The King LeBron James ha affrontato le domande relative al suo destino con la solita tranquillità e disponibilità, non lasciando trasparire alcun dettaglio in merito. “ Prima di tutto voglio prendermi una vacanza con la mia famiglia – ha esordito il numero 6 di Miami – poi deciderò cosa fare. “ Il trio scioglierà le proprie perplessità sul futuro solo dopo un incontro privato. Nel corso della stagione, pare che le possibilità, o forse più la voglia di confrontarsi sia sempre mancata: prima di tutto c’è la corsa all’anello, siamo solo concentrati su questo obiettivo, il contratto può attendere, è la frase tipo con cui i tre cestisti hanno sempre stoppato le domande dei media, contribuendo così, più del previsto a farne quasi un caso di Stato. Nell’incontro con la stampa tra l’altro non era presente Dwyane Wade, “particolare” che ha innescato una lunga serie di riflessioni tra alcuni esperti nel settore di però dubbia solidità. Solidità che in questa vicenda è al momento riscontrabile solo ed esclusivamente nei numeri e nelle cifre alla quale i Big Three andrebbero o meno incontro, a seconda delle loro scelte. Qualora decidessero di sfruttare la loro player option per il 2014/2015, i loro salari arriverebbero a 61 milioni di dollari complessivi, risultando così un grosso limite in materia di flessibilità per il mercato degli Heat; da questo punto di vista la permanenza del terzetto più che un vantaggio, sembrerebbe un intralcio per le negoziazioni future del club che ad oggi ha sotto contratto solamente: Norris Cole e Udonis Haslem (anche lui ad un bivio dettato dalla player option). Non per forza però l’unica soluzione per dare ossigeno salariale alla società consiste nel divorzio da almeno uno dei tre. La pista maggiormente preferita dai tifosi vede la mancata opzione di rinnovo del trio, l’arrivo quindi nella vetrina degli svincolati ed una successiva firma sempre con la franchigia della Florida ma a cifre naturalmente più basse, per permettere a Pat Riley di intavolare una campagna acquisti improntata a rinforzi di rilievo. Chris Bosh, che per qualcuno è pronto a lasciare il posto di squadra e salariale a Carmelo Anthony accostato negli ultimi giorni ai campioni uscenti, si cela dietro a parole poco significative: “Parleremo con Riley e ci dirà il suo piano d’azione, ci tengo però a precisare che comunque vada a finire tra noi tre (lui, James e Wade, ndr.) resteremo sempre amici. Miami è un posto splendido dove vivere e lavorare. Non credo ci sia bisogno di venderlo ad eventuali costless agent, si vende da sola. “ I supporters degli Heat dovranno ancora soffrire un po’ prima di conoscere il destino della loro squadra.
MINNESOTA TIMBERWOLVES
E’ nel destino di molte squadre acquisire immediata notorietà in chiave mercato dopo aver passato una o più stagioni nell’anonimato se si guardano i risultati conseguiti sul campo. Succede così ai Minnesota Timberwolves, i cui occhi degli esperti di mercato si sono concentrati morbosamente negli ultimi giorni. Terminate le Finals, la squadra guidata fin qui da Rick Adelman è balzata agli onori della cronaca, per lo sviscerato grande interesse che diversi club hanno riposto nei confronti di Kevin Love. Il futuro dell’ala californiana sarà inevitabilmente uno dei temi caldi di questa offseason. Il numero 42 dei Wolves, diventerà nel 2015 un costless agent ristretto, ma il tavolo delle trattative di casa Minnesota è più trafficato che mai. La franchigia di Minneapolis ha effettuato una crescita graduale negli ultimi anni, arrivando a chiudere l’ultima stagione con almeno 40 vittorie, cosa che non avveniva da nove anni (2004-05 44-38). Certo è che l’ennesima mancata qualificazione ai playoff non ha fatto altro che consolidare i pensieri di Love in merito ad un suo addio. Sembrano essere giunti i tempi ideali per cambiare aria ed approdare in un palcoscenico di maggiore rilevanza, con buona pace di Flip Saunders, tornato al timone della squadra dopo l’esperienza come Presidente e volenteroso di risiedersi sulla panchina con il cestista di Santa Monica ancora suo giocatore. “ Mi aspetto che Kevin giochi con noi anche nella prossima stagione “ aveva detto sicuro ad inizio mese, ma adesso la situazione è completamente diversa. Golden State Warriors, Denver Nuggets e Chicago Bulls sono le acquirenti più accreditate per l’ala. Le tre franchigie hanno staccato le altre pretendenti, sono in una posizione di vantaggio rispetto ai Boston Celtics ed hanno già bussato alla porta dei T-Wolves con proposte interessanti. I Denver Nuggets sarebbero pronti a sacrificare il play Kenneth Faried e l’ala Wilson Chandler, anche i Bulls mossi dal desiderio di ricostruire il roster in cui D-Rose sia il faro, avrebbero messo sul piatto due cestisti: Jimmy Butler e Taj Gibson. Fa sul serio anche Golden State. La franchigia tra le mani dell’ex San Antonio Steve Kerr, sogna di scalare la Western Conference grazie anche ad uno scambio sull’asse Oakland-Minnesota. I gialloblu avrebbero chiesto oltre a Kevin Love la guardia Kevin Martin proponendo come contropartita, l’ex ala dei Knicks David Lee più una futura prima scelta. Sul piatto della bilancia teoricamente ci sarebbe anche la promettente guardia Klay Thompson, ma nelle ultime ore, è stato forte il pressing dei Los Angeles Lakers per l’acquisizione di quest’ultimo. D’altro canto Minnesota se da una parte ne apprezza le doti tecniche dall’altro ritiene le richieste economiche che girano intorno al cestista troppo esose, facendo inevitabilmente così salire le quotazioni dei sedici volte campioni del mondo, disposti con maggiore spazio salariale a barattarlo con la loro scelta n° 7 all’imminente Draft. La squadra di Oakland ci pensa, ma per adesso regna l’indecisione. L’attrazione esercitata da Thompson, tra i migliori tiratori della Lega, potrebbe addirittura consigliare ai piani alti del club di ritirarlo dal campo delle negoziazioni, scegliendo così di puntare ancora su di lui e sulle sue qualità. Non è poi da escludere che per arrivare a Love e ad al suo compagno Martin, i Warriors non debbano congedare un altro cestista. Durante le negoziazioni Minnesota avrebbe infatti espresso il proprio gradimento nei confronti del giovanissimo Harrison Barnes. Golden State non sembra però disposta a lasciar partire l’ala classe 1992, a meno che la risposta negativa sul trasferimento di quest’ultimo non rischi di far saltare l’intera trattativa, ipotesi remota, ma degna di considerazione. Sullo sfondo rimangono naturalmente i Celtics disposti a privarsi di alcune delle loro scelte al Draft (come la n° 6 e la n° 17 del prossimo 26 giugno) e di qualche pedina del roster come Jeff Green oppure di un giovane come Kelly Olynyk o Jared Sullinger. Atteggiamento apprezzato da Sauders che però ad una squadra rinfoltita da giovani promesse, preferirebbe cestisti di certa esperienza ed in grado di far effettuare a Minnesota quel fatidico salto di qualità che si legge come accesso alla postseason. La sensazione dunque è che la pista Golden State, dato la preziosa valenza dei rispettivi giocatori coinvolti, sia la più soddisfacente sia per il team di Glen Taylor e sia per il principale oggetto del desiderio Love, che così facendo vedrebbe realizzato il suo sogno di tornare in California. La situazione si evolve con il passare delle ore e delle dichiarazioni degli esperti del mercato. Seguiranno certamente aggiornamenti.
SAN ANTONIO SPURS
Un anello speciale, per un’annata ricca di significati. Gli Spurs si sono presi la loro rivincita sugli Heat, vendetta è fatta ed adesso possono godersi ed esprimere quelle sensazioni e gioie, rimaste sciaguratamente inespresse lo scorso anno, quando uno specialista dai tre punti come Ray Allen aveva rimandato e di fatto bloccato la festa. Il titolo numero cinque della storia di San Antonio ha un sapore speciale, conquistato con sapienza e duro lavoro, grazie soprattutto ad una squadra combinata in maniera equilibrata, una vecchia guardia che fa invidia al resto della Lega bilanciata da una serie di cestisti con meno chilometraggio alle spalle ma comunque determinati e vogliosi. Ha il sapore della rivincita così come quello della fedeltà, rappresentata a pieno dalla figura di Tim Duncan, arrivato come prima scelta al Draft nel 1997 per poi non andarsene più. La storia degli ultimi anni degli Spurs, fatta di vittorie e anche qualche salutare sconfitta (leggi proprio Finals 2013) si intreccia con quella del tenebroso gigante delle isole Vergini, che adesso può esibire un anello per ogni dito di una delle sue mani, oltre al primato condiviso con John Shalley per la conquista del titolo Nba in tre decadi diversi. Ha il sapore del riscatto a livello generale, perché nonostante i mostri del passato, l’avventura delle Finals è stata vissuta e giocata con grande autorevolezza e superiorità contro una Miami che era più di un semplice avversario da battere. Una prova di maturità e di gestione dello stress superata a pieni voti, grazie anche alla fame di un gruppo che non vinceva da 7 anni. “ Finalmente ce l’abbiamo fatta – ha sospirato Manu Ginobili – dopo lo scorso anno non è stato di certo facile ripartire, però ci siamo riusciti. Era da tanto tempo che non alzavamo al cielo un anello. E’ un successo di gruppo, continuamente spinto e stimolato a fare sempre meglio. “ Un’ emozione indescrivibile scriverà a qualche ora dalla gara chiave su Twitter che non gli permetterà nemmeno di andare a dormire e allora meglio esorcizzarla con un piatto di patatine fritte, un lusso che un giocatore della sua prestanza e del suo atletismo sembra possa permettersi di mangiare (parola di Ginobili) una volta l’anno. Nel quinto titolo della storia di San Antonio c’è anche una striscia tricolore tutta italiana, c’è la fatica, il sudore, l’impegno e lo spirito di sacrificio di Marco Belinelli, primo italiano a giocarsi l’ultima fase dei playoff e primo a vincerla. Il suo apporto nelle Finals, cifre alla mano, non è stato da protagonista, ma l’azzurro ha sempre dimostrato grande sicurezza e sangue freddo una volta sceso sul parquet. Popovich la scorsa offseason lo ha ritenuto abile e arruolabile per promuoverlo nella sua banda, dando le spalle a chi gli contestava la scelta perchè considerava il Beli impreparato per un palcoscenico di questa portata. La scommessa (tanto per cambiare) l’ha vinta Popovich, così come Marco Belinelli. Il cammino per arrivare nell’ Olimpo dell’ Nba è stato più lungo delle quasi 100 partite disputate dagli Spurs in questa ultima annata, è durato almeno il doppio, anzi il quadruplo. Partito dalla sua San Giovanni in Persiceto, dopo la giusta esperienza nelle due squadre di Bologna arriva in Nba con una valigia ricca di speranze e tanta voglia di apprendere. Sboccia a Golden State, cresce a Toronto e New Orleans, matura a Chicago con la quale conquista il suo primo pass in carriera dei playoff e si consacra in Texas. “ Voglio dedicarlo alla mia famiglia questo riconoscimento, loro ci sono sempre stati, così come i miei amici, hanno sempre creduto in me, anche e soprattutto quando nessuno lo faceva più, ma alla fine ho vinto. “ dirà a caldo - davanti alle telecamere di Sky Sport Italia - con la commozione e l’adrenalina in corpo di chi sa di essere arrivato tanto in alto. Ha vinto lui, il ragazzino che alle partite di calcio degli amici, preferiva le esercitazioni con la palla a spichi sul cemento insieme al fratello maggiore Enrico. Ha vinto chi ci ha messo caparbietà e voglia, è il coronamento di un sogno per chi quelle Finals fino ad una decina di anni fa le guardava da casa con la remota speranza un giorno di potervi arrivare a giocarle. La salita sarà stata anche dura, ma non fatichiamo a credere che la visuale da lassù sia meravigliosa. Complimenti Beli!