"E’ incredibile tornare a questi livelli dopo la sconfitta devastante della scorsa stagione.” Afferma Tim Duncan dopo la vittoria in gara 6 contro i Thunder. "Ma siamo tornati. Siamo eccitati all’idea di giocare di nuovo per il titolo. Abbiamo altre quattro partite da vincere. Questa volta ce la faremo.”
38, 37 e 32. Non sono tre numeri a caso, ma l’età dei tre campioni dei San Antonio Spurs. I tre che fanno parte di una dinastia che domina nei palazzetti americani da più di un decennio. Duncan, Ginobili e Parker, sono i tre giocatori in questione, tre fenomeni, tre talenti ognuno diverso dall’altro per caratteristiche e ruolo, che tra di loro si completano meravigliosamente e che in campo parlano la stessa lingua. Tutto ciò di cui parliamo è solo la parte pratica, il braccio che agisce ed esegue compiti e schemi di uno dei più grandi allenatori che questo gioco abbia mai avuto : Gregg Charles Popovich. Dal 1996 alla guida dei San Antonio Spurs (967-443 il suo record), il tre volte allenatore dell’anno (2003, 2012 e 2014) ha vinto per 4 volte il Larry O’Brien Trophy, nel 1999 con l’ammiraglio David Robinson alla guida, 2003, 2005 e 2007 con il terzetto di cui sopra. Ma come si fa a portare una squadra di vecchietti ancora in finale? Come si fa in una pallacanestro moderna dominata da giocatori sempre più fisici e veloci? Ecco, quello che passerà alla storia di questo gioco e di questo periodo storico, è la creazione di uno dei sistemi di gioco più efficiente della storia della pallacanestro. Una pallacanestro filosofica, una mentalità ben definita, un’idea di cosa fare sul campo in qualsiasi situazione di gioco, molto spesso vincente.
"Sappiamo che affronteremo una squadra talentuosissima e molto difficile da battere, sarà davvero una bellissima serie, ma di sicuro noi crediamo in quello che sappiamo fare, e faremo il possibile come abbiamo sempre fatto.” Ha dichiarato Ginobili dopo aver ricevuto il premio per aver vinto la Western Conference.
Tornano in finale Nba a distanza di un anno, dove troveranno ancora una volta, i Miami Heat del trio James, Wade e Bosh, ma soprattutto di Ray Allen. Questa volta avranno dalla loro il fattore campo, che lo scorso anno era a favore degli Heat. Elemento da non sottovalutare. In questi playoff una sola volta, su dieci incontri, un avversaria degli Spurs ha violato l’At&t Center : i Dallas Mavericks, nel primo turno in gara due. Per arrivare alla finalissima, gli Spurs hanno superato, oltre ai già citati Mavs (4-3 nella serie più tirata finora), Portland per 4-1 nella semifinale di Conference, e gli Oklahoma City Thunder nella finale conclusasi la scorsa notte con il successo esterno di Duncan e compagni che ha sancito il 4-2 finale.
Una serie strepitosa, che nessuno (nemmeno Popovich) è riuscito a spiegare fino in fondo. “Pensate davvero che possa avere risposte sul perché la serie si sia svolta in questo modo? non ne ho la minima idea… Questa e’ la serie più strana che io abbia mai visto”.
Una serie che ha viaggiato per cinque partite su margini di vittoria, dall’una e dall’altra parte, dai 10 ai 30 punti. Mai una partita sudata, mai un supplementare, fino a ieri notte. 6 partite che hanno avuto ognuna una chiave di lettura diversa, ma che tutte hanno portato all’ennesimo risultato positivo della carriera del “pop”. Proveremo ad analizzare passo dopo passo, quelli che sono stati i temi principali che hanno portato gli Spurs in finale, partendo dalla base del loro gioco, il sistema di gioco, passando per i fattori di questa serie che sono stati Duncan e la panchina di San Antonio, per chiudere con le modifiche tattiche che Popovich ha apportato nel corso della serie.
IL SISTEMA SPURS
La base di tutto, il punto di partenza è la costruzione di un sistema di gioco. Un modus operandi che garantisca sempre tiri puliti, dall’arco e non. Ovviamente più facile a dirsi che a farsi. Ma gli Spurs, ed il loro allenatore, hanno lavorato a lungo su questo concetto. Perfezionandolo nel corso degli anni, portandolo quasi ad un livello di perfezione. Il SISTEMA SPURS, appunto. La lettura delle situazioni che scaturiscono dagli adeguamenti difensivi avversari, la ricerca costante dei vantaggi da guadagnare in ogni singola azione. Tutto questo ovviamente non sarebbe stato possibile se in campo non ci fossero stati giocatori dal QI superiore alla media. Protagonisti come i “big three” che sono abituati a leggere e riconoscere quelle situazioni vantaggiose prima di chiunque altro. Con penetrazioni, con scarichi, con tiri piazzati che vanno a bersaglio non a caso. I dati che certificano questo sistema sono il numero degli assist e della percentuale del tiro da tre punti. A fine serie il conto degli assist sarà di 136 a 114 (+22), il che vuol dire che ALMENO 44 punti in piu degli avversari sono venuti da questi assist. Sottolineiamo almeno perché gli speroni prediligono il gioco perimetrale, che vale 3 punti, quindi probabilmente la differenza sarà molto maggiore. Ed è proprio il tiro da tre punti che ha scavato il solco nel corso delle sei partite : 40% per Ginobili e company contro il 30% dei Thunder. Costruzione dei tiri contro soluzioni individuali che abbassano di molto le percentuali di realizzazione ed anche le speranze di vittoria finale. Che hanno permesso a Danny Green di tirare con il 54% nella serie (20/37), a Ginobili con il 50% (15/30) ed a Boris Diaw con il 42% (8/19).Molto indicativo invece il dato relativo ai due uomini di punta di Oklahoma : Westbrook ha tirato 9/32, 25% dall'arco, mentre Durant 11/33.
EFFETTO PANCHINA
Non di secondaria importanza, l’apporto della panchina, decisiva nel cambiare qualche partita, nel mantenere il vantaggio quando veniva richiesto ai vari Belinelli, Mills, Diaw e non ultimo Ginobili, importantissima per far si che Popovich apportasse le giuste modifiche per cambiare l’inerzia della serie. Cosa dire di Boris Diaw? Mvp romantico della serie, per come l'ha dominata, uscendo dalla panchina, con ogni giocata, in ogni singolo possesso, culminata con la prestazione magnifica di gara 6 : 26 punti, uno piu decisivo dell'altro. La qualità e la lunghezza del roster di San Antonio era nota anche prima dell’inizio di questa serie, ma non era preventivabile che avesse questa incidenza. Il dato è clamoroso! Gli uomini che sono usciti dalla panchina di Pop, hanno quasi fatto il doppio dei punti e del lavoro degli avversari : spurs 275 (ginobili 91, diaw 79) thunder 143 (Fish 34, SEFOLOSHA 2!). Addirittura se allarghiamo un po’ la visuale su questi dati possiamo notare che i punti degli Spurs sono distribuiti equamente tra i primi sei giocatori (Duncan 107, Parker 79, Green 73, Leonard 71 oltre ai due già citati), mentre per i Thunder dopo il duo Westbrook-Durant (161 e 155 punti), c’è Reggie Jackson (71 punti, meno di Ginobili, Diaw e compagnia) che non ha affatto demeritato, cercando di lottare fino all’ultimo possesso. Addirittura in gara 6 solo cinque giocatori di Oklahoma sono andati a referto e Fisher, il quinto, ha messo 5 punti a referto nel solo quarto quarto. Cifre un po’ impietose, che confermano la superiorità dei nero-argento in lungo ed in largo.
TATTICA E TECNICA CONTRO ATLETISMO E FISICITA’
Probabilmente non è un’eresia affermare che questa serie l’abbia vinta Popovich su Brooks. Spesso ha alternato in attacco l’uso di Duncan da “centro di riferimento”, che attraesse su di sé tutte le attenzioni della difesa, per aprire spazi per tagli e tiri piazzati, a quintetti “piccoli” che avevano in Diaw l’unico lungo di ruolo (in realtà un 4 che preferisce giocare fronte a canestro), con l’intento di portare fuori dal pitturato Ibaka, per evitargli di essere decisivo sotto canestro. Non a caso quando ha cambiato in gara 5 il quintetto iniziale, ha scongelato un giocatore molto simile a Diaw per caratteristiche tecniche e tattiche come Matt Bonner, lasciando al francese la responsabilità e l’onere di cambiare la partita dalla panchina (mossa più che decisiva). Una mossa spinta dall’effetto che ha avuto Ibaka nel ritorno in campo in gara 3 e 4 ad Oklahoma. L’ala che si è ristabilita dall’infortunio muscolare, ha spostato gli equilibri delle prime due partite, cambiando completamente volto alla propria squadra, riuscendo ad arginare Duncan che era stato un fattore nelle prime due partite e condizionando ogni tiro degli Spurs. In particolare ha dato tranquillità a Westbrook e Durant, che si sono concentrati sul loro lavoro sapendo che dietro di loro ci fosse Serge (13 stoppate in 4 partite). Ma la realtà è che qualunque mossa tattica imprevista manda in confusione i Thunder, squadra istintiva e disabituata a pensare, fatta di atleti e saltatori abituati a risolvere ogni tipo di problema contando sulla lunghezza delle proprie braccia e delle proprie gambe, e che in una lunga serie di playoffs, quando gli avversari ti prendono le misure ed impongono il loro credo tattico, va in confusione, forzando continuamente in attacco e sprecando troppo spesso dei palloni decisivi. È stato proprio nei momenti decisivi di gara 6 che la ragione e l’intelligenza degli Spurs ha prevalso sull’esuberanza e sull’inesperienza dei Thunder, che sono costate l’eliminazione.
LA BANDIERA DUNCAN
Ancora lui. Sempre lui. Tim Duncan, classe ’76, ma più invecchia, più migliora. Più lo danno per finito, più diventa decisivo. Alla sua sedicesima stagione in maglia nero-argento, il caraibico si supera. Dopo aver disputato una fantastica regular season, sale in cattedra nei playoff, guidando la squadra nelle difficoltà iniziali contro i Portland Trail Blazers, e soprattutto diventando un fattore nella finale contro Oklahoma. Nelle prime due partite, complice anche la mancanza di Serge Ibaka, abusa completamente dei vari Perkins, Adams e Collison, che non riescono a marcarlo né limitarlo minimamente : 27 punti in gara 1, devastante, 14 punti e 12 rimbalzi in gara due, “limitato” nell’impiego sul parquet dalla vittoria dilagante. L’ingresso nella serie di Ibaka cambia leggermente la sua incidenza, ma nei momenti decisivi Tim si fa trovare sempre pronto. L’apoteosi la raggiunge nell’overtime di gara 6 dove negli ultimi quattro possessi si carica la squadra sulle spalle : 6 punti ed il canestro della vittoria. Palla in post basso contro Jackson, finta di andare verso il centro, si gira sul fondo ed in fade away realizza il canestro della serie. Lo sottolineiamo perché forse, per la prima volta in carriera, ESULTA ad un canestro, quasi come se fosse un gol, strappandosi la maglia. Liberandosi di quella scimmia che si portava sulle spalle da un anno a questa parte. Quel layup facile nella gara 7 delle scorse finali che grida ancora vendetta, un canestro che nel corso della sua carriera avrà segnato migliaia di volte. Aveva promesso vendetta, ed un anno dopo potrà prendersela con tutti gli interessi. Per la storia, per entrare nella Leggenda.