La storia degli M&M’s, come vengono soprannominati in Texas per via delle loro iniziali, parte da lontano e, più precisamente, da Bologna, dove le loro strade si incrociano per la prima volta; Marco, allora quindicenne di belle speranze, viene aggregato da coach Ettore Messina alla prima squadra della Virtus Bologna, dove nel suo stesso ruolo gioca la stella del campionato italiano di quegli anni, l’argentino Manu Ginobili. I due hanno la possibilità di allenarsi insieme e Manu prende sotto la sua ala protettiva il giovane Belinelli, insegnandogli i trucchi del mestiere. La loro convivenza, tuttavia, dura poco: infatti Ginobili, dopo aver vinto nei due anni nella “Basket City” un Campionato, un’Eurolega e due Coppe Italia, lascia la Virtus e si trasferisce negli States per giocare nella NBA, dove era stato scelto tre anni prima dagli Spurs di Gregg Popovich, che dopo un primo periodo difficile con l’argentino, capendone lo stile di gioco e la genialità in campo, farà di Ginobili un punto fermo delle rotazioni degli Spurs, che nei primi cinque anni di Manu nella lega vinceranno tre titoli (2003-2005-2007). La stagione d’oro dell’argentino è quella del 2004-2005, che è segnata da successi sia in Nazionale, con cui vince le Olimpiadi di Atene 2004 battendo in finale l’Italia di Basile e Pozzecco, dopo aver surclassato nella semifinale gli USA dei giovani James, Anthony e Wade con una prestazione da 29 punti, che con gli Spurs, guidati alla vittoria dell’anello con cifre da fenomeno per tutti i playoff (20,8 punti, 5,8 rimbalzi e 4,2 assist di media a partita).
Anche il destino di Belinelli è quello di lasciare la Virtus e di andare a giocare oltreoceano, però prima di farlo Marco passa alla Fortitudo Bologna, storica rivale cittadina delle “V nere”, con cui vince un Campionato e una Supercoppa Italiana da protagonista. Con gli occhi degli Scout NBA addosso Belinelli nel 2006 gioca un mondiale strepitoso in Giappone, che culmina nella prestazione da 25 punti contro gli Stati Uniti, in una gara dove segna molto nonostante la marcatura di LeBron James e dove compie una giocata che convince anche i più scettici che sia un giocatore da NBA, ovvero una schiacciata subendo fallo da Carmelo Anthony.
Marco viene scelto dai Golden State Warriors nel Draft 2007 con la chiamata numero 18 e diventa il secondo giocatore italiano nella lega, raggiungendo Andrea Bargnani dei Toronto Raptors. Nella sua prima partita in Summer League realizza 37 punti mettendo a segno 14 dei 20 tiri presi. Tutto fa presagire a una strada in discesa verso il successo, cosa che invece non si realizza da subito: infatti l’allora allenatore dei Warriors Don Nelson non vede di buon’occhio l’italiano, facendolo quasi sempre sedere in panchina. In una delle poche occasioni concesse dall’ex giocatore dei Celtics a Belinelli, il bolognese realizza 27 punti e distribuisce 6 assist contro gli Atlanta Hawks, dimostrando tutte le sue qualità, che vengono notate proprio dai Raptors di Bargnani, che lo ingaggiano nel 2009. In Canada le cose non vanno bene e dopo appena un anno Marco viene ceduto ai New Orleans Hornets di Chris Paul, dove inizia a giocare con costanza, costruendosi una fama di grande tiratore e di giocatore versatile. Con gli Hornets raggiunge per la prima volta i playoff giocando titolare nel quintetto di coach Monty Williams e facendo registrare medie di 10,4 punti a partita il primo anno e 11,8 punti a partita il secondo anno. La stagione successiva va a giocare a Chicago dove si rende protagonista di una nuova buona annata, che vede i Bulls qualificarsi per i playoff. All’inizio della serie contro i Brooklyn Nets però è fuori dalle rotazioni di coach Tom Thibodeau, salvo poi entrarci in gara 6 e 7, dove realizza rispettivamente 22 e 24 punti, risultando decisivo per il passaggio del turno dei suoi; grazie a quelle gare Belinelli diventa anche il primo italiano nella storia ad aver superato un turno di playoff NBA.
All’inizio di questa stagione, dopo un europeo esaltante con la maglia azzurra, Belinelli raggiunge nuovamente l’amico Ginobili, che gli da il benvenuto su twitter, scrivendo scherzosamente di portargli i tortellini.
I due rafforzano la loro amicizia di vecchia data essendo anche vicini di armadietto e ogni volta che vengono intervistati non perdono occasione di complimentarsi l’uno con l’altro; ultimamente Belinelli ha dichiarato che Ginobili per lui è sempre stato un idolo e un esempio, in grado di fare giocate fenomenali, e che lo sta aiutando molto in questa sua esperienza in Texas, ricevendo a sua volta i complimenti dell’argentino che lo ha definito un giocatore furbo, che capisce il gioco e che sa giocare sia con che senza la palla, cosa che lo sta aiutando a giocare e tirare bene. Con l’aiuto e l’esempio di Ginobili, Belinelli sta vivendo la sua migliore stagione NBA, realizzando 11,6 punti a partita, raccogliendo 2,9 rimbalzi e distribuendo 2,3 assist di media, tutto questo tirando con il 45,1% da tre punti (quinto nella lega per percentuale) e con l’84,2% i tiri liberi. Tutto ciò è frutto, oltre che del talento di Marco, del sistema di gioco di coach Popovich, che fa giocare Belinelli sui suoi punti di forza, ovvero la capacità di giocare il pick and roll, di fare reject (che consiste nel far finta di uscire dai blocchi per prendersi un tiro per poi tagliare l’area avversaria e segnare comodamente da vicino) e di tirare da tre punti. Questa sua ultima capacità gli è valsa la convocazione all’ultimo All Star Game nel “Three Point Contest”, che ha vinto in finale contro Bradley Beal, cecchino dei Washington Wizards.
A una partita dal termine della stagione i San Antonio Spurs hanno il miglior record della lega e sono tra le squadre favorite per vincere il titolo, che se dovesse arrivare porterebbe la firma di Belinelli e Ginobili e,dunque, di un po’ di Italia.