Ah, l’America, terra di supereroi. Non pensate però a Spider Man, Batman o Superman, non ancora almeno. Concentratevi su una Lega nata il 6 Luglio 1946 e che, sfruttando quello che un certo James Naismith aveva creato, ha sviluppato una vera e propria industria basata sulla pallacanestro, esportandola in tutto il mondo. In questa Lega si trova una categoria speciale di supereroi. Non ci riferiamo a personaggi mascherati (anche se le nuove jersey con le maniche assomigliano molto alle tutine della Comics) ma ad atleti che hanno innalzato l’asticella dello spettacolo a un livello inimmaginabile, che compiono delle gesta che probabilmente contribuiscono a dar da pensare magari togliendo il sonno a più di un professore di fisica, perché le leggi che quest’ultimi studiano vengono totalmente annientate dalle azioni ai limiti della fantascienza dei giocatori NBA.
Il paradosso del calabrone prende vita ogni volta che gente come Nate Robinson, 1.71 sulla carta d’identità, arriva a schiacciare al ferro con facilità disarmante. E’ una sfumatura della storia dell’American Dream, quella che ognuno di noi vorrebbe vivere. L’Appuntamento, con la “A “ maiuscola, che è ormai un cult per gli appassionati della palla a spicchi d’oltreoceano è senza dubbio la maratona delle partite di Natale, quando per ben tredici ore di fila si assiste a una sequenza di matches di pallacanestro da togliere il fiato, con le migliori squadre che si alternano sui parquet dei palazzetti in giro per gli Stati Uniti a regalarci, nonostante le migliaia di chilometri di distanza, uno spettacolo unico. Spinti dalla grande atmosfera, i giocatori spesso si superano, e producono prestazioni incredibili: Patrick Ewing, per esempio. Nel 1985 guidò i suoi Knicks alla rimonta contro i Boston Celtics che erano avanti di 25 punti, e l’anno successivo con un jumper all’ultimo secondo riuscì a battere i Chicago Bulls di Michael Jordan.
La notte di Natale custodisce anche dei record: Phil Jackson, nel 2008, è diventato il più veloce allenatore a raggiungere le 1000 vittorie in carriera proprio il 25 dicembre, e l’anno scorso Kobe Bryant ha superato Oscar Robertson come miglior marcatore nella partita natalizia. E’ stata anche la serata delle grandi rivalità: nel 2004 c’è stato il primo incontro tra Kobe Bryant e Shaquille O’Neal dopo che i due si erano lasciati a Los Angeles. Nel 2008 è toccato a LeBron James e ai suoi Cavaliers confrontarsi con il Black Mamba, che quest’anno salterà per la prima volta il match natalizio.
Ma cominciamo dal principio, dai primi vagiti di quello che poi è diventato un fenomeno globale. Il primo anno di NBA, a Natale non si gioca. Nella seconda stagione, datata 1947, si scende finalmente in campo. Delle 11 franchigie presenti allora, ne giocano sei. Le partite, analizzate con l’aiuto dell’avvocato Federico Buffa, hanno un non so che di nostalgico, quasi di mitologico:
New York Knicks - Providence Steamrollers 89-75
Baltimore Bullets - Chicago Stags 87-70
Washington Capitols - St. Louis Bombers 73-56
Inutile dirvi quali delle franchigie sono sopravvissute e quali invece non hanno superato gli anni ’50. I Knicks, che insieme ai Boston Celtics sono l’unica squadra che non ha mai cambiato città nel corso della propria storia, sono anche la franchigia che a Natale ha giocato di più. 48 partite, con uno score di 22 vittorie e 26 sconfitte (l’ultima l’anno scorso contro un demoniaco Kobe Bryant). Gli Steamrollers invece, che quell’anno vinsero la bellezza di sei partite, erano capitanati da Nate Hickey che, con i suoi 46 anni, rimane tutt’oggi il più anziano marcatore NBA della storia. I Chicago Stags, prima tentativo di franchigia NBA in ordine temporale della città dell’Illinois, affondano nei debiti con l’inizio degli anni ’50. D’altronde quando il palazzetto in cui si gioca è della squadra di hockey e questa decide di chiudere i rubinetti, c’è ben poco da fare.
C’è però, come nelle migliori storie, un intrigo che ha probabilmente cambiato le sorti di quegli anni: Gli Stags, prima di scomparire, scelgono al Draft tale Bob Cousy, che quando la franchigia fallisce viene messo nel cosiddetto Reversal Draft per essere smistato alle altre squadre rimanenti. Indovinate chi se lo aggiudica? I Boston Celtics, con i risultati che sono noti a tutti (per i meno informati, quegli erano gli anni di Bill Russell e dei Celtics che vinsero 11 anelli in 13 stagioni, con Cousy che organizzò le geometrie della squadra, guidando per otto anni le classifiche di assist dell’intera Lega).
La bontà del Natale poi ci permette di parlare anche di quei giocatori che il 25 notte hanno regalato prestazioni memorabili ma che si sono poi persi per strada lungo la via del successo, spesso tiranno e infimo. E’ il caso di Bernard King, a oggi recordman di punti in una partita natalizia: 60, nel 1984, contro i New Jersey Nets. Quando si parla di lui, spesso si dice:”Before LeBron, there was another King in the League”. Sì perché Bernard era qualcosa di fenomenale, un concentrato di atletismo senza eguali, una macchina da punti che aveva a disposizione una valanga di movimenti spalle a canestro, oltre a disporre di un rilascio della palla velocissimo, impressionante. Come per molti giovani fenomeni cresciuti nel sobborgo di Brooklyn, sono i problemi fuori dal campo a fermare l’ascesa di King. Dopo una buona stagione da rookie ai Nets, viene tradato agli Utah Jazz, dove i suoi problemi vengono a galla: deve entrare in una clinica per risolvere la sua dipendenza dall’alcol.
Chissà cosa sarebbe successo se in quei giorni Bernard si fosse arreso, se avesse ceduto alle mille tentazioni, dandola vinta alle sue manie. Invece King torna alla conquista della corona: i New York Knicks lo ingaggiano, e lui ripaga la fiducia sfornando prestazioni impressionanti nelle successive due stagioni e mezzo (il sessantello natalizio, sì, ma anche il back to back da 50 punti a San Antonio e Dallas nella stagione 1983-1984). I Knicks sembrano lanciati alla lotta dei playoffs per il titolo, ma a Kansas City, contro i Kings, Bernard King si infortuna: cadendo da un’azione difensiva, si rompe il ginocchio.
Dovrà saltare due anni, e quando torna, pronto per dare una mano ai Knicks, si vede sbattere la porta in faccia. A New York stanno ricostruendo attorno a Patrick Ewing, e di un King a mezzo servizio non sanno che farsene. Viene quindi girato ai Washington Bullets, dove Bernard rinasce come un araba fenice : la sua media punti in quell’anno, 28.3, è terza solo a quella di Michael Jordan e Karl Malone. Sono canestri rabbiosi, che contengono tutta l’ira di un campione meraviglioso ma incompleto, che ha incontrato troppi ostacoli lungo il suo cammino per la gloria. Si ritirerà nel 1993, senza aver mai vinto un anello, ma consapevole di aver dato tutto per The Game, anche quando la vita ha tentato di remargli contro.
Un altro campione che nel corso di una partita di Natale ha vissuto uno dei suoi momenti di massima gloria e splendore è Dominique Wilkins, anche conosciuto come “The Human Highlist Film” per il suo modo spettacoloso di giocare a pallacanestro. I suoi 45 punti contro i Philadelphia 76ers rappresentano il secondo miglior record di punti, dietro solo al nostro King, di cui sopra. ‘Nique, fin dai suoi inizi a Washington, è stato considerato un predestinato, e dopo 3 anni di college in Georgia con i Bulldogs si rende eleggibile per il draft 1982. Viene chiamato con la terza scelta assoluta dagli Utah Jazz, dietro a James Worthy e Terry Cummings.
I Mormoni hanno però dei problemi finanziari e quindi imbarcano Wilkins su un volo di sola andata per Atlanta, dove ad attenderlo ci sono gli Hawks di Dan Roundfield, il migliore di una squadra a cui però serve un giocatore che riesca a portare punti in un attacco alquanto sterile. Il rookie si carica la squadra sulle spalle e diventa leader incontrastato del gruppo, guidando la franchigia con le sue altissime medie punti. Sviluppa poi in quegli anni un particolare tipo di schiacciata, la two handed windmill dunk, che infuoca le arene degli States e che gli vale la vittoria nello Slam Dunk Contest. La svolta arriva però quando sulla panchina degli Hawks si siede coach Mike Fratello, con cui Atlanta, a partire dalla stagione 1986-87, supererà per tre anni consecutivi la soglia delle cinquanta vittorie in regular season per poi però cedere facilmente ai playoffs.
Le rivalità di quella squadra sono principalmente contro Boston e Detroit, che riescono ogni anno ad eliminare Wilkins e compagni. Non che il #21 calasse di intensità o punti durante le partite “win or go home”, è che per un fattore o per un altro Wilkins non si è mai riuscito a scrollare di dosso l’etichetta del fenomeno perdente. Il suo più grande rimpianto è stato non riuscire a portare gli Hawks oltre al secondo turno di Playoffs prima di trasferirsi ai Clippers nel ’94. Da quel momento cambierà una squadra a stagione fino al ritiro, avvenuto a 39 anni. E’ la storia di un giocatore esaltante, che lascia l’NBA con 26’668 punti segnati, ma che non è mai riuscito a incastrare nel modo giusto le tessere del puzzle per costruire una stagione realmente vincente. La dura legge del gol (o meglio, del canestro) ha colpito ancora.
Ora passiamo ai giorni nostri, più precisamente nell’Ottobre 2002. Come, ma Natale mica è a Dicembre? Si, però l’ultima storia natalizia dell’NBA parte da qui. Più precisamente a Washington, dove un pazzo estremista decide di sparare a caso sulla folla, uccidendo 10 persone e ferendone 16. Una di queste è il tredicenne Iran Brown, che a Novembre però esce dall’ospedale sulle sue gambe. Iran ha un grande idolo, che veste la maglia degli Orlando Magic: Tracy McGrady. In occasione della partita di Natale c’è la possibilità che Iran possa vedere da vicino TMac, ma il campionissimo ha problemi alla schiena, e fino all’ultimo la sua presenza è in forse. Alla fine McGrady finirà quella partita con 46 punti in tabellino. E ci piace pensare che lo abbia fatto per il piccolo Iran.
Questa carrellata di storie si conclude così, con il sorriso sulle labbra per un bel lieto fine. La pallacanestro probabilmente non potrà molto nell’economia mondiale, però è sempre un modo con cui staccare la spina dalle ansie della vita. E a volte ce n’è proprio bisogno.
Buon Natale a tutti!