Si dice che racchiuso nel nostro nome ci sia la vera essenza di ciò che siamo. Sinceramente ho sempre faticato a crederci: cosa siamo, degli oroscopi ambulanti? Però può esserci l’eccezione che conferma la regola: Olajuwon, per gli Yoruba, vuol dire “stare sempre in alto”. Che “alto” lo si intenda come “giocare ad alta quota” o lo si metaforizzi con “NBA Champion”, con Hakeem The Dream non si sbaglia mai.
Il centro di origine nigeriana, d’altronde, è sempre stato abituato a vivere e combattere per il massimo, un mantra che si ripeteva spesso: “Work hard, stay strong and believe in yourself”. Così, pur avvicinandosi al basket con un po’ di ritardo, dopo aver fatto il portiere sui campi di calcio, la sua forza prorompente e il fisico da guerriero gli valgono un pass per gli Stati Uniti, dove ad attenderlo ci sono tre università pronte a scommettere sul giovane Akeem.
La prima visita, a New York, non lo soddisfa: troppo, troppo freddo. Alla fine la scelta ricadrà sui Cougars di Houston allenati da coach Guy Lewis, anche se l’arrivo negli States non sarà di quelli memorabili: una volta atterrato, non trova nessuno ad aspettarlo: “Chi, Olajuwon? Prenda un taxi e venga che la stiamo aspettando”, è la risposta del Preside dell’università quando un perplesso Akeem chiama per chiedere delucidazioni. Una volta arrivato alle porte del college, dirà semplicemente: “Salve a tutti, sono il vostro reclutamento africano. Non è che c’è una stanza anche per me, eh?”
Akeem si mette subito al lavoro per migliorare il suo gioco e sgrezzare quel corpo muscoloso e dirompente che la natura gli ha donato. Per aiutarlo nel suo processo di crescita, l’università di Houston gli affianca niente di meno che Moses Malone, uno dei migliori centri in circolazione. Nei workouts con Malone, il livello si alza vertiginosamente e stimola Akeem a cercare sempre quella mossa imprevedibile per stupire l’avversario, che poi diventerà il “Dream Shake”, ovvero il suo marchio di fabbrica.
Akeem guida, insieme a Clyde Dexter, la “Phi Slama Jama”, la squadra degli schiacciatori, a tre finali NCAA (di cui due consecutive) senza però mai riuscire a vincere l’ultima partita del torneo. Nel 1983 è stato nominato “NCAA Best Player”, ultimo giocatore a ricevere questo riconoscimento senza riuscire a vincere il torneo.
Gli anni del college stanno finendo, e Akeem deve decidere quando compiere il grande salto: l’estate del 1984 può essere quella giusta, perché la prima scelta assoluta del draft (che allora si decideva, in soldoni, con il lancio della monetina) se la contendevano Portland e Houston, due città gradite al #34 che quindi decide di mettersi definitivamente in gioco. Alla fina la pick numero uno andrà a Houston, che farà quindi restare in città il centrone. Com’è risaputo, quello è stato il draft anche di giocatori come Michael Jordan, Charles Barkley e John Stockton.
Quello che non tutti sanno è che poco prima del Draft a Houston è stato proposto un clamoroso scambio: Ralph Samson, ala in forza ai Rockets, a Portland in cambio di Clyde Dexter e la scelta numero #2 del draft di quell’anno. Pensate cosa sarebbe potuto succedere: Michael Jordan sarebbe potuto finire a Houston e cambiare totalmente la storia recente della NBA. D’altronde dal 1990 al 1998, i titoli sono stati vinti o da His Airness o da The Dream. Probabilmente giocando insieme, supportati anche da Drexler, avrebbero chiuso le ferramente d’America a forza di vincere anelli.
La storia però con i “se” non s’è mai fatta, e di quel famoso scambio non se ne fece nulla, anzi: Sampson e Olajuwon, sin dal loro primo anno insieme, formano “The Twin Towers”, un nuovo modo di giocare che prevede l’uso dei due spilungoni in quintetto, per una squadra ad alto tasso fisico, pronta a dar battaglia come non mai sotto canestro.
Nel suo primo anno arriva dietro solo a Michael Jordan nella corsa al “Rookie of the Year”, con un testa a testa emozionante che folgora il mondo della palla a spicchi. La seconda stagione è un’epopea memorabile: i Rockets, trascinati dalle “Twin Towers” arrivano ai playoffs e serie dopo serie giungono alla Western Conference Final, dove letteralmente piallano i Los Angeles Lakers di Pat Riley, che dopo la sconfitta, 4-1 lo score finale, commenterà: ”Abbiamo provato di tutto su Akeem, tutto. L’abbiamo marcato in quattro, o abbiamo cambiato l’angolo di difesa... Niente. E’ semplicemente un grande giocatore”.
Queste parole sembrano l’incoronazione del nuovo re dell’NBA, però alle Finals Larry Bird e i suoi Boston Celtics impartiscono una lezione di storia ad Olajuwon, che prima dell’inizio della serie aveva candidamente ammesso che “della storia dei Boston Celtics non sapevo nulla”. Dopo la scottante sconfitta, inizia un periodo buio per i Rockets, che traderanno Sampson e non riusciranno a ripetere le buone prestazioni degli albori di Olajuwon. Akeem non è contento, chiede addirittura la cessione.
Poi però qualcosa cambia: è il 1991, e Akeem scopre la fede musulmana. Legge tanto il Corano, lo studia a casa, nello spogliatoio, prima delle partite. Si sente un uomo nuovo tanto che il 9 marzo di quello stesso anno “aggiusta” il suo nome in Hakeem, aderendo così totalmente all’Islam. Hakeem Olajuwon è diventato musulmano e ha scoperto come concedersi totalmente alla religione: “I didn't dabble in the faith, I gave myself over to it”. C’è qualcosa di incredibilmente mistico che scatta da questo momento nell’uomo Hakeem che poi si riflette in campo sul grande giocatore qual è stato Olajuwon.
Una serie di ingranaggi spianeranno la strada per il dominio nella lega di The Dream: Michael Jordan che si prende un paio d’anni di pausa, l’arrivo di Rudy Tomjanovich sul pino e il continuo migliorarsi del suo gioco lo porteranno a due anelli in back-to-back che scolpiranno il suo nome tra le leggende dell’NBA. Dei due anni in cui dominò la lega, si ricordano gli epici duelli con Patrick Ewing e i suoi New York Knicks, che sconfiggerà nel 1994. Clamorosa poi la sua stoppata sul tiro al suono di sirena di John Starks. Ah tra parentesi, in quell’anno Olajuwon vinse l’MVP della Regular Season, dei Playoffs e il titolo di miglior difensore dell’anno.
Il secondo titolo fu invece una grandiosa rincorsa: partiti con il sesto record a Ovest, gli Houston Rockets dovettero lottare contro mille avversità per riconfermarsi. Dopo una trade con Portland che portò Drexler in Texas, Houston alzò i giri del motore e schiantò in serie i Jazz, i Suns (compiendo una spettacolosa rimonta, sotto di 3-1 e andando a vincere in sette partite) e poi dando vita a una delle serie più belle di sempre dei playoffs NBA, in finale di conference contro i San Antonio Spurs di David Robinson.
Una volta scalata la montagna del West, i Rockets ebbero vita facile contro gli Orlando Magic di un giovane Shaquille O’Neal, che surclassarono in quattro partite. E’ il trionfo di un atleta straordinario, che combina acume tecnico con esplosività fisica, un connubio altamente pericolo che imbarazza svariati centri di qualsivoglia franchigia. Semplicemente non c’è confronto tra le parti, vince The Dream per manifesta superiorità. Ciò che ai più passa inosservato però è quella che fu la sua tenuta mentale nel periodo dopo l’adesione totale all’Islam: come tutti sanno, c’è un mese nel corso dell’anno in cui i musulmani praticanti non possono né bere né mangiare per tutte le ore di sole della giornata. Essendo il calendario di tipo lunare, ogni anno il mese del Ramadan è diverso.
Nell’anno del Repeat coincide con Febbraio, in piena Regular Season. Olajuwon non può dissetarsi né sfamarsi per decine di ore al giorno, al limite si bagna le labbra con asciugamani umidi nel corso delle partite. La prende come una sfida: “E’ facile essere musulmano a parole, vediamo i fatti”. Con il suo spirito di sacrificio e la sua abnegazione scriverà un’altra piccola grande pagina della sua storia da giocatore. Infatti alla fine di quel febbraio sarà scelto come “giocatore del mese” e, per gradire, segnerà 45 punti contro i Chicago Bulls del rientrante Michael Jordan, mostrando così una tenuta mentale che probabilmente anche coach Phil “Zen” Jackson gli avrebbe invidiato. Ecco cosa può fare un giocatore spinto dalla fede, dalla forza interiore e dall’ atteggiamento di chi non si vuole arrendere mai.
Signori, The Dream.