La storia che raccontiamo oggi non inizia nei sudici campetti della periferia americana all'ombra dei grattacieli, e non finisce tra le luci scintillanti di un parquet della Nba. E' una storia che non finisce bene, ma in modo tragico e beffardo. E' la storia di Teo, Gnegno per gli amici, un ragazzo di 34 anni che ci ha lasciati troppo presto, ma che ha per sempre marchiato a fuoco chi l'ha conosciuto, chi l'ha visto giocare e sudare nei palazzetti di tutta Italia.

Matteo Bertolazzi nasce a Parma l'11 gennaio 1979. Il basket è da subito nel suo Dna. Il papà è presidente della Lega2 femminile la madre e la sorella anch'esse giocatrici. Si capisce fin dai primi anni che Teo con quella palla a spicchi ci sa veramente fare, a seguire i suoi primi passi sul parquet la grande Cynthia Cooper che all'epoca giocava proprio a Parma. La prima grande occasione si presenta nell'annata 95/96 quando dalle giovanili di Parma arriva la chiamata delle V nere della Virtus Bologna. Di serie A, quella che conta, Teo ne vedrà poca, due sole partite, ma è il trampolino di lancio della sua carriera.

Diventerà di li a breve uno dei migliori playmaker delle categorie inferiori, spendendo tutta la sua carriera tra la Lega2 e la B1. Piccolo di statura (arrivava appena al metro e ottanta) ma agilissimo, dotato di una visione di gioco e di un q.i. cestistico da piano di sopra, un tiro da tre mortifero, due mani d'oro che gli permettevano assist spettacolari e la giusta dose di fegato e faccia tosta che tante volte gli hanno permesso di vincere partite che sembravano perse. Un vincente Gnegno, e lo sanno bene a Pistoia dove ha giocato per 9 anni, conquistando una promozione in Lega2 da capitano, dispensando basket e lezioni di vita.

Lo sanno soprattutto a Vigevano la città che lo ha adottato, e con la quale ha conquistato la sua seconda promozione in Lega2, dopo 25 anni, una sera di maggio del 2009 davanti a un pubblico in visibilio che lo aveva eletto a suo leader incontrastato. Poi come tutti i grandi condottieri, dopo una stagione intensa in Lega2 con la squadra ducale, complici i problemi societari che hanno di fatto cancellato dalla geografia del basket la squadra lombarda, Teo decide con la solità serietà e grinta, di affrontare una nuova avventura, con Casalpusterlengo di nuovo in Lega2. Gli ultimi mesi della sua carriera li spende a Omegna in Lega Nazionale, la vecchia B1. E' proprio a Omegna che la vita decide di prendersela con lui.

Il 27 settembre dello scorso anno l'annuncio che sciocca il mondo del basket: Teo deve lasciare la squadra per motivi di salute. Piano piano viene alla luce la verità, durissima da mandare giú. Leucemia, proprio quella malattia bastarda e senza cuore che anni fa aveva portato via al basket italiano un altro grande protagonista: Alphonzo Ford. E proprio come Fonzie, Teo lotta con tutte le sue forze, non molla, proprio come faceva in campo. Si sottopone a cicli spossanti di chemioterapia, posta le foto della sua battaglia quotidiana su facebook e si stringe intorno ai suoi amici e ai suoi tifosi.

Sembrava migliorasse negli ultimi periodi, ma era solo una vana illusione. Domenica Teo ci ha lasciati, è volato via alla sua solita maniera, con umilità e dignità, consapevole di aver lottato fino all'ultimo. Chi vi scrive ha conosciuto Teo, lo ha conosciuto come giocatore e soprattutto come uomo, quel piccolo grande uomo che aveva il cuore di un gigante. Sempre disponibile, mai una parola e un atteggiamento sbagliato dentro e fuori del campo. Un uomo che avrebbe meritato di calcare il palcoscenico principale dello sport che amava, ne è la dimostrazione i tanti attestati di affetto da parte di giocatori importanti del nostro campionato, da Aradori a Cinciarini che stanno giocando in queste ore l'Europeo.

Un uomo che non si poteva non amare. Ora ci piace pensare che Teo sia lassù a giocare a pallacanestro in una squadra fortissima, a fare pick and roll con Petrovic a scaricare la palla fuori ad Ancilotto, a Ford, a dare il cinque a Malagoli che ha vestito come lui la maglia della pallacanestro Vigevano. Noi quaggiù possiamo solo asciugarci le lacrime, alzare lo sguardo al cielo e salutarlo come facevano i suoi tifosi, cantando: Tutti pazzi per Bertolazzi. Ciao Gnegno, ciao Campione.