Gli Dei del basket, l’abbiamo detto più volte, sono spesso capricciosi e si divertono a tessere trame impreviste. Ed è proprio per via di uno di questi imprevisti che il “piccolo” Tim nativo di Saint Croix nelle Isole Vergini, scopre il basket e ne diventerà nel giro di pochi anni uno dei migliori interpreti di fine secolo. Il ragazzone allora 14enne era già benedetto da un fisico statuario e praticava il nuoto ad alto livello, tant’è che si stava allenando per partecipare alle Olimpiadi di Barcellona che si sarebbero tenute di li a poco. Correva l’anno 1989 ma il destino aveva in serbo per lui un altro cammino. La devastante potenza dell’uragano Hugo infatti aveva quasi distrutto la sua casa e letteralmente fatto a pezzi la piscina dove il giovanotto si allenava. Addio sogni di gloria olimpici e tanto per non farsi mancare nulla, l’adorata madre si ammala di cancro. Tim cade in una sorta di depressione, matura molto più della sua età (cosa che poi gli servirà per affrontare la Nba da leader già nei primi anni) e trova conforto nel basket.

Già il basket. Il coach che lo seguiva negli allenamenti di nuoto aveva notato già da tempo come il fisico di quel ragazzo fosse perfetto per il gioco della pallacanestro. Fortuna vuole che una delle poche infrastrutture salvatesi dalla furia dell’uragano fosse proprio un piccolo campo di basket vicino a casa di Tim e come in tutte le belle storie l’amore sbocciò a prima vista. Da li la vita di Tim è tutta discesa. Cresce di quasi 20 cm in due anni, si allena con una dedizione e una costanza che saranno la caratteristica per tutta la sua carriera e viene finalmente notato da alcuni talent scouts americani durante un torneo in cui, con la rappresentativa della sua nazione, diede lezioni di basket a gente come Alonzo Mourning. E’ ora di decidersi e di fare il grande passo. Tim lascia la sua amata isola caraibica e si trasferisce a Wake Forest per studiare e giocare.

In un periodo come quello di metà anni 90 in cui molti giocatori al massimo facevano un anno di College, Tim completa il corso di laurea. Si laurea in psicologia e al tempo stesso riesce a essere protagonista nel campionato NCAA viaggiando nell’ultimo anno a 20 punti e 15 rimbalzi di media facendo incetta di premi. Ormai è chiaro a tutti che Duncan è un predestinato. Viene ovviamente scelto al numero 1 del draft 1997 dai San Antonio Spurs che lo affiancano all’esperto David Robinson che sarà il suo mentore e porterà la franchigia del Texas ad essere una delle squadre più forti e vincenti degli ultimi 15 anni.

Il primo anno gioca già ad altissimo livello. Vince il premio di rookie dell’anno e insieme all’Ammiraglio forma una delle coppie di lunghi più forti di tutti i tempi. L’anno successivo si mette al dito il primo anello ed è nominato MVP delle finals contro i Knicks (primo giocatore al secondo anno a riuscire nell’impresa). Inizia così la dinastia degli Spurs. Nel 2001 e nel 2002 è MVP della stagione e nel 2002 vince, anzi stravince il secondo titolo contro i Nets. Nel 2003 gli Spurs vengono fermati in finale di conference dai Lakers di Shaq e Kobe e nella stagione 2004-2005 la fascite plantare lo tormenta per tutta la stagione non impedendogli comunque di giocare ad altissimo livello e di vincere il terzo titolo in una finale combattutissima contro i Detroit Pistons.

I problemi al piede però si fanno risentire nella stagione successiva e in finale di conference è costretto a cedere di fronte ai Mavericks di Nowitzki. Duncan non si da per vinto si cura a fine stagione per tornare ancora più forte nel 2006-07. Gli Spurs dominano la Regular Season e in finale Tim ben coadiuvato da Tony Parker e Manu Ginobli dá una lezione ai Cavaliers di Lebron James e vince il quarto titolo. Tim Duncan si appresta a giocare, da giovedí notte, la sua quinta finale all’età di 37 anni.

Il suo minutaggio si è comprensibilmente abbassato, ma Duncan rimane sempre e comunque uno dei giocatori più vincenti di sempre. I suoi detrattori gli danno del “noioso” perché il suo gioco è semplice e fatto di pura tecnica. Mai un tiro forzato, mai una giocato spettacolare quando non richiesta. Difensore eccezionale (lo stesso Bill Russell ha più volte affermato di vedere in Duncan l’unico suo vero erede), un uso dei piedi incredibile per un uomo della sua stazza e in q.i cestistico senza eguali nella storia della Lega. Tim è sempre rimasto una persona semplice, non ha tatuaggi, non usa i social networks, non ha il body language del Bad Boy. E’ un leader. Silenzioso e vincente. Questa contro gli Heat di Lebron potrebbe essere la sua ultima grande sfida. L’ultima recita del ragazzo che voleva nuotare ma che il destino ha trasformato in uno dei più grandi giocatori di basket di ogni epoca. Che vinca o perda poco importa. Noi non possiamo altro che dire grazie Tim per tutto quello che hai dato a questo sport.