Stagione difficile, in chiaroscuro. Una crisi profonda, una rivoluzione tecnica, con l'arrivo di Agassi ed Ancic. Dal Roland Garros dello scorso anno, Novak Djokovic insegue le sue antiche convinzioni, alla perenne ricerca del giusto stimolo. Non sorprende, quindi, che Nole non appaia tra i favoritissimi. Da Nadal - estromesso agli ottavi da Muller - a Federer, con la variabile Cilic e il n.1 Murray. In pochi ricordano Djokovic, campione tre volte a Wimbledon. Il serbo non si scompone e anzi procede a fari spenti, sottolineando il feeling con il verde londinese. Come Federer, percorso netto, nessuna titubanza. Certo, avversari alla portata, ma la versione di Djokovic è convincente. Nessun problema con Gulbis, tre set a zero anche a Mannarino, in un confronto rinviato di 24 ore per maltempo.
Si presenta ai quarti in vantaggio, intravede una semifinale a cinque stelle con Federer, ma prima deve respingere Tomas Berdych. Il ceco si conferma regolare, sfrutta le sue qualità su una superficie rapida ed avvicina il risultato dello scorso anno. Nel 2016, semifinale con Murray, qui anche una finale, nel 2010. Berdych è il classico giocatore di livello a cui manca sempre, costantemente, qualcosa. Non è solo una questione tecnica, Berdych difficilmente prevale quando affronta un giocatore di classifica superiore. Difficilmente perde quando trova buoni tennisti, ma di graduatoria inferiore. Nell'edizione corrente, dopo i quattro set con Chardy e Harrison, affermazione con Ferrer e replica con Thiem, a certificare le attuali mancanze del talento austriaco sull'erba.
I precedenti aiutano a sottolineare la differenza tra Djokovic e Berdych. Ventisette partite in archivio, ben venticinque le vittorie del serbo. Quattro sfide lo scorso anno, percorso netto dell'ex n.1. Due passaggi sul verde, sempre a Wimbledon. Nel 2013, 3-0 Djokovic, tre anni prima, urrah ceco. Berdych ha una ghiotta occasione, come mai in passato, Nole appare fragile, in ripresa ma vulnerabile. A quasi 32 anni, un treno interessante.